Non erano parole al vento, quelle cinesi: da ieri su 128 prodotti made in Usa sono in vigore dazi più alti del 15-25%. È la risposta alle tariffe imposte da Washington su acciaio e alluminio e l’avvertimento a non andare fino in fondo con le restrizioni sui prodotti hi-tech delle aziende cinesi e sui loro investimenti negli Stati Uniti.
Tutto come da copione in questo abbrivio di guerra commerciale: la contromossa di Pechino era stata annunciata il 23 marzo, all’indomani delle iniziative americane, e colpisce esportazioni statunitensi per tre miliardi di dollari. Formalmente, è la risposta alle “sole” tariffe sui prodotti siderurgici entrate in vigore la settimana scorsa: la Cina ne esporta negli Stati Uniti per un valore quasi equivalente, circa tre miliardi appunto, e subirebbe perdite stimate in 690 milioni di dollari. Il suo export di acciaio e alluminio negli Usa è circa il 2% del totale, dato che il 90% dei suoi prodotti siderurgici era già penalizzato da dazi, ancor prima della nuova stretta.
Nei giorni scorsi, Pechino, che contesta la legittimità delle decisioni di Washington, aveva chiesto di avviare consultazioni bilaterali. Il primo passo per una procedura in ambito Wto, alla quale non è arrivata risposta, come sottolinea il ministero del Commercio, che ribadisce l’invito al negoziato per fermare la spirale delle ritorsioni.
Intanto, con una decisione che contribuisce al calo delle Borse, Pechino sospende l’impegno preso nell’ambito della Wto ad abbassare i dazi oggi applicati su 120 prodotti Usa e anzi alza le tariffe esistenti di un altro 15%. È il caso della frutta o dell’etanolo, per esempio, sul quale la Cina applica balzelli del 30% e che ora passano al 45%.
Per altri otto prodotti, le tariffe vengono innalzate del 25%. È il caso del maiale e derivati: la Cina è il terzo mercato di sbocco per gli Usa, con un import di 1,1 miliardi di dollari nel 2017.
I dazi colpiranno anche il vino, mentre si salvano, per ora, sorgo e soia. Nel 2017, la Cina ha importato circa 20 miliardi di dollari di prodotti agricoli dagli Usa. La soia da sola vale 14 miliardi di dollari. Le aziende americane del comparto avevano da tempo messo in guardia Washignton contro rappresaglie cinesi sull’agroalimentare.
Fuori dalla lista anche i Boeing. Il 21 marzo, China Southern Airlines ha firmato un contratto da 3,6 miliardi di dollari per l’acquisto di 30 velivoli 737 Max dal gruppo americano. L’anno scorso, durante la visita di Trump a Pechino, Boeing ha annunciato accordi per 37 miliardi (per la fornitura di 300 aerei). La società conta di ricevere dalla Cina mille miliardi di dollari di ordinativi nei prossimi 20 anni e sostiene che un quarto di tutti i suoi aerei vengono acquistati da società cinesi. Cifre forse un po’ ottimistiche, ma che potrebbero essere fortemente ridimensionate dall’inasprirsi delle tensioni tra i due Paesi.
L’obiettivo reale di questa prima e moderata risposta cinese è infatti chiarire che Pechino non resterà a guardare, se davvero gli Stati Uniti imporranno dazi del 25% su 1.300 prodotti cinesi dell’hi-tech, delle telecomunicazioni e dall’aerospazio, penalizzando così esportazioni per 50 (forse 60) miliardi di dollari. Si tratta del 10% dell’export cinese negli Usa (lo 0,4% del Pil). Ma le barriere commerciali sono concentrate sui 10 settori innovativi alla base del piano Made in China 2025 e sarebbero accompagnate da restrizioni sulle acquisizioni di aziende americane da parte di gruppi cinesi (dalla Cina arriva il 40% degli investimenti diretti esteri nell’hi-tech Usa) e sugli stessi investimenti americani in Cina. Tutto con l’obiettivo dichiarato di fermare la corsa di Pechino verso la supremazia tecnologica.
Il messaggio del regime è stato enfatizzato dal tabloid cinese Global Times: gli Stati Uniti possono «dire addio all’illusione» che la Cina non avrebbe reagito alle misure protezionistiche o lo avrebbe fatto solo in modo simbolico, si legge in un editoriale pubblicato domenica.
La lista dei prodotti cinesi colpiti da dazi è attesa per il 6 aprile. Di seguito ci saranno 30 giorni di consultazioni con le imprese statunitensi per affinare l’elenco. Il varo delle tariffe potrebbe arrivare 180 giorni dopo. Intanto Trump insiste: il surplus commerciale cinese è troppo alto (375 miliardi di dollari) e «deve scendere di 100 miliardi».
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