Ieri Mark Zuckerberg, il Ceo di Facebook, si è concesso alla stampa per una specie di mea culpa sulla «impropria condivisione» dei dati di 87 milioni di utenti con l'azienda britannica Cambridge Analytica. Ora il social sta sponsorizzando i suoi aggiornamenti in tema di trasparenza, anche grazie alla vetrina globale della sua ultima conferenza. Ma dovrà misurarsi in fretta con i paletti fissati dal soggetto che gli fornisce un bacino, potenziale, di mezzo miliardo di utenti: l'Unione europea.
Mentre negli Usa la Silicon Valley si scontra con le aggressioni verbali di Trump, nel Vecchio Continente la Commissione europea (il motore dell'azione legislativa comunitaria) sta mettendo sul tavolo una serie di riforme che toccano nel vivo il core business di quasi tutti i giganti del tech: i dati, le informazioni personali che cediamo abitualmente con un like su Facebook, una ricerca su Google Maps o quando eseguiamo il log-in per utilizzare una bici in sharing di Ofo e Mobike.
I due interventi con impatto diretto sull'attività delle grandi aziende tecnologiche, social network inlcusi, corrispondono a un regolamento a tutti gli effetti (la Gdpr, vedi sotto) e a una policy, attesa entro la primavera per fronteggiare «la disinformazione online» propagandata in rete.
Gdpr, caso unico di contrasto alla diffusione dei dati
La prima stretta che riguarderà i colossi del Web, come Facebook e Google, è il regolamento generale sulla protezione dei dati (General data protection regulation, 679/2016), in vigore dal 2016 e con efficacia dal 25 maggio 2018. Il testo è stato voluto dalla Commissione per «disciplinare il trattamento dei dati personali relativi alle persone nell'Ue, da parte di persone, società o organizzazioni». In altre parole si andrà a regolare la distribuzione a fini commerciali di informazioni sui cittadini europei, a prescindere dalla sede legale dell'azienda che ne fa uso, che può essere interna o esterna alla Ue. Tra le modifiche più nette rispetto al passato ci sono l'obbligo di richiedere il consenso all'uso dei dati con un linguaggio «semplice e chiaro» (contro le chilometriche informative proposte oggi), un grado molto più dettagliato di informazioni sui dati raccolti e loro destinazione e la «portabilità» dei dati: ossia la libertà assoluta per l'utente di ricevere e trasferire informazioni su altri social network e dispositivi.
In tutti e tre i casi si parla di svolte che colpiscono il business di qualsiasi azienda che vive sull'advertising digitale e la vendita, più o meno esplicita, di informazioni raccolte: una profilatura meno raffinata significa meno introiti pubblicitari, oltre a costringere le imprese a schierare nuovi legali per migliorare la compliance rispetto alle norme imposte. Lo stesso Zuckerberg si è affrettato a definire «molto interessante» il regolamento, ma ha lasciato intendere di non voler esportare il modello anche negli Usa e in generale fuori dall'Europa. In un'intervista all'agenzia britannica Reuters, Zuckerberg ha dichiarato di essere al lavoro per estendere globalmente «qualche parte» del regolamento europeo. Ma ha glissato quando gli è stato chiesto di entrare nei dettagli, facendo intendere che una quota dei 99 articoli della Gdrp resterà fuori dalla «operazione trasparenza» comunicata ieri a una cerchia selezionata di giornalisti.
In arrivo policy contro la «disinformazione online»
L'azione della Ue, però, bersaglia direttamente anche l'industria delle fake news, le notizie false diffuse per ragioni commerciali o propagandistiche. La Commissione europea sta per pubblicare una comunicazione su «come affrontare la disinformazione online», soprattutto in vista delle elezioni dell'Europarlamento di maggio 2019. La policy è destinata a sfociare in una stretta sui contenuti veicolati dai «media digitali»: in altre parole dai social network, finiti sul bancone degli imputati come principali diffusori di contenuti fittizi e favorevoli a forze populiste. Il documento è atteso «entro la primavera», fanno sapere da Bruxelles, anche se lo scandalo di Cambridge Analytica si candida ad accelerare il processo. A confermarlo è Natasha Bertaud, portavoce della Commissione, rispondendo a una domanda del Sole 24 Ore sul progetto di un giro di vite anti-fake news in via di definizione a Bruxelles. Negli scorsi giorni il quotidiano britannico Financial Times ha riportato i contenuti di una lettera inviata dal commissario europeo alla sicurezza Julian King alla collega Mariya Gabriel, responsabile dell'economia digitale.
Nel documento, visionato dal quotidiano britannico, King chiede una nuova «strategia» per controllare l'attività dei colossi social durante periodi sensibili a livello elettorale, chiedendo più informazioni sugli algoritmi usati per promuovere alcuni contenuti, limiti contro il «furto di dati» degli utenti e trasparenza sui finanziamenti ricevuti per sponsorizzare determinate news. Nel suo complesso, una linea simile sia a quella tracciata dalla Gdpr sia ai contenuti del «new deal dei consumatori»: una modifica alle direttive sui consumatori già approvate, attesa a sua volta per la prima metà dell'anno. Le aziende del Web compaiono ancora una volta con la richiesta di «maggiore trasparenza», in questo caso riferita ad acquisto e vendita di prodotti su piattaforme online.
E qui a drizzare le antenne non solo solo Facebook e Google, ma un altro colosso che ha già scomodato sia la temutissima commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager sia il presidente Usa Donald Trump: Amazon.
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