La quotazione a Wall Street del leader mondiale dello streaming musicale Spotify, con risultati superiori alle attese nonostante le turbolenze che hanno investito (per ragioni diverse) altri colossi tech come Facebook e Amazon, torna ad accendere i riflettori sul digitale svedese. Un particolare ecosistema, unico al mondo, che ha dato i natali a startup tecnologiche di successo diventate in pochi anni “unicorni”, ossia società che valgono almeno un miliardo di dollari.
Oltre a Spotify va naturalmente ricordata Skype, che segnò il trionfo planetario della tecnologia Voice over Ip: fondata nel 2003 dallo svedese Niklas Zennström e dal danese Janus Friis, venne acquisita appena due anni dopo la nascita da eBay per 2,6 miliardi di dollari e, di nuovo, da Microsoft nel 2011 per 8,5 miliardi.
Ma non sono da dimenticare anche colossi del gaming del calibro di King, la software house che nel 2012 creò il primo videogame “freemium” di successo per social network (Candy Crush) e che meno di quattro anni dopo venne acquisita da Activision Blizzard per la bellezza di 5,9 miliardi di dollari. Oppure Mojang, creatrice del famoso videogame Minecraft, fondata nel 2009 e comprata cinque anni dopo da Microsoft per 2,5 miliardi di dollari. O ancora Klarna, la più grande piattaforma di e-payment europea, un gioiello del Fintech nordico cresciuto grazie al venture capital internazionale fino a raggiungere un valore di due miliardi di dollari.
Pochi sanno che Stoccolma, nel rapporto tra abitanti e numero di società tech da almeno un miliardo di dollari, è seconda solo alla Silicon Valley delle varie Apple, Google e Facebook. Un apparente paradosso: uno Stato come la Svezia, con tasse alte e ragguardevole (ma efficiente) spesa pubblica, culla di un robusto sistema di welfare che riduce i rischi dei cittadini ai minimi termini, ha visto esplodere una cultura del rischio d’impresa che ha pochi paragoni nell’Europa continentale, Germania inclusa.
Ma anche nel confronto con gli Stati Uniti la monarchia scandinava esce vittoriosa. Secondo i dati Ocse, in Svezia per ogni mille lavoratori esistono venti startup con almeno tre anni di vita, contro le appena cinque degli Stati Uniti. Con le start up che sopravvivono almeno tre anni in grado di creare in media cinque posti di lavoro ogni cento esistenti (contro i due degli Stati Uniti). Mentre oltreoceano solo l’8% delle società oggi si possono definire start up (ma erano il 15% nel 1978), nella piccola Svezia con 10 milioni di abitanti il trend di creazione di nuove imprese è in aumento dagli anni Novanta.
Gli ingredienti del successo svedese sono due. Innanzitutto le riforme, attuate per affrontare la grave crisi degli anni Novanta: hanno aperto il mercato nazionale alla concorrenza e agli investimenti stranieri riducendo il peso dominante dei monopoli pubblici attraverso una forte deregulation. La quota di capitali esteri nelle imprese svedesi è così quasi sestuplicata in un decennio, passando dal 7% nel 1989 al 40% nel 1999. Anche la pressione fiscale sulle imprese è diminuita, pur difendendo fondamentali macroeconomici che l’Italia non vede da cinquant’anni: il debito pubblico è inferiore al 40% del Pil e tutte le principali agenzie di rating conferiscono la tripla A al regno di Carlo XVI Gustavo.
Il secondo ingrediente del successo è proprio internet. La deregulation svedese ha coinciso con l’avvento del web, su cui Stoccolma ha investito con eccezionale lungimiranza, dotandosi di una delle migliori infrastrutture digitali al mondo: ancor oggi, la velocità media nel Regno scandinavo (22,5 Mb/sec) supera quella degli Stati Uniti (18,7 Mb/sec).
Geniale, in particolare, è stata l’idea di detassare già dagli anni Novanta le aziende che dotavano i dipendenti di un computer da portare a casa e da far usare a tutta la famiglia: in questo modo si è creata un’alfabetizzazione digitale di base che ha pochi rivali al mondo, e che tra l’altro ha trasformato la Svezia in un Paese quasi completamente “cashless”, privo di contante. Un confronto con l’Italia sarebbe ingeneroso su tutti i piani, dall’efficienza della spesa pubblica alle infrastrutture tecnologiche, ma non sarebbe male se provassimo a imparare qualcosa dai primi della classe.
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