Mondo

Lula, il presidente-operaio condannato al carcere pronto a consegnarsi

  • Abbonati
  • Accedi
«mani pulite» in brasile

Lula, il presidente-operaio condannato al carcere pronto a consegnarsi

I maestri brasiliani della Bossa Nova, il genere musicale ispirato alla samba e al jazz, lo avevano persino teorizzato: con la privazione del sonno, la colpa, la mancata innocenza, si può creare un altro mondo. Dev’essere quello intravisto da Luis Inacio Lula da Silva, ex presidente del Brasile, che deve scontare una pena di 12 anni di prigione per corruzione. I media brasiliani riferiscono che l'ex presidente potrebbe essere arrestato dopo la messa in onore di sua moglie, morta nel febbraio dell'anno scorso (un accordo in tal senso sarebbe stato raggiunto tra gli avvocati di Lula e la polizia federale).

«Io non mi nascondo, non ho paura di loro», ha detto Lula durante il suo discorso al termine della messa, dicendosi pronto a consegnarsi alla polizia.
Altra soluzione discussa ieri è che Lula rimanga nella sede del sindacato metallurgico Abc di Sao Bernardo dos Campos fino a lunedì, quando verrebbe arrestato. Come in un incubo, però. È commovente ma anche amaro il ricordo dell’immagine di Lula, nel 2013, al momento della consegna dell’attestato di “Presidente del Brasile” - così prevede il protocollo - proprio come se fosse un diploma di laurea.

E lui, il neopresidente operaio con un dito mozzato da una pressa e un eloquio tutt’altro che forbito, rilasciò una dichiarazione che fece il giro del mondo: «È il primo diploma che ottengo, in tutta la mia vita», alludendo al suo mancato accesso all’istruzione, ma anche al riscatto di cui era stato capace, lui e il suo Paese. Quel Brasile che poi, in pochi anni, ha inanellato un record dopo l’altro, di crescita economica, di stabilità macrofinanziaria, di redistribuzione del reddito a favore delle classi sociali più indifese, di accordi internazionali. Tutto ciò suggellato dagli incontri con i presidenti di Paesi del primissimo mondo, dalle copertine dell’Economist e dagli elogi del Financial Times.

Lula rischia 12 anni di carcere per corruzione e riciclaggio
Quindici anni dopo, ieri notte, il Tribunale supremo federale (Tsf) del Brasile ha respinto la richiesta di habeas corpus presentata da Lula, che ora potrebbe scontare in galera la pena di 12 anni comminata per corruzione e riciclaggio. La decisione è stata presa con una maggioranza risicata, 6 voti contro 5, dagli undici giudici della Corte. È la parabola di un sindacalista, un operaio metalmeccanico che diviene presidente di un grande Paese ed entra nella storia dal portone principale della meritocrazia politica, del consenso popolare che, negli anni migliori, ha superato la soglia dell’80%, numeri bulgari, registrati da sondaggi politicamente lontani ma convergenti negli esiti. Entrato così e uscito con l’infamia di una condanna per corruzione e riciclaggio. Proprio lui, leader del Pt (il partito dei lavoratori), che sull’onestà e sulla trasparenza ha costruito le basi della sua forza politica e popolare.

È difficile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, intuire l’esito dei ricorsi che verranno presentati entro luglio, termine ultimo per stilare la lista dei candidati alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Nel frattempo «O mecanismo», Il meccanismo, una serie di Netflix che descrive gli schemi corruttivi brasiliani, le collusioni tra presidenza, imprenditoria, poteri forti e mafie, li racconta e li mostra in tv nelle case di tutti brasiliani: gli accordi sporchi tra Petrobras, il colosso energetico nazionale, e Odebrecht, quello edilizio, con i faccendieri della politica. Nefandezze e consuetudini, tangenti e illiceità si dispiegano nelle registrazioni e nelle carte processuali, da cui però, secondo gli avvocati di Lula, non emergono «prove provate» a carico di Lula. Nel libro «Perché mi vogliono condannare» - scritto da Lula ed edito da Castelvecchi - viene enucleata la tesi di una vera e propria «caccia all’uomo», una violenza che si sta abbattendo su una sola parte politica, il Pt, il Partito dei lavoratori. In un contesto in cui tutte le forze politiche, senza eccezioni, si sono macchiate di atti corruttivi. Ed è teorizzata anche dai sociologi, l’esistenza di tangenti «sistemiche».

Il politologo: le responsabilità sono «difficili da occultare»
Per Carlos Malamud - politologo dell’Istituto Elcano di Madrid, intervenuto ieri a Roma al convegno organizzato dall’Iila (Istituto italolatinoamericano), dal titolo «Perché è importante l’America Latina?» – le responsabilità politiche di Lula sono difficili da occultare: «È stato lui ad aprire le porte a Odebrecht di molti altri Paesi latinoamericani e, di fatto, avallare un sistema di licitazioni poco trasparenti, innervate di tangenti. Insomma i vasi comunicanti tra politica e affari sono veri e i vertici di partiti brasiliani non potevano non sapere». E poi è surreale che Lula insista nel proposito di candidarsi con una condanna passata in giudicato: «Ed è stato ancora lui – ricorda Malamud - il padre politico e giuridico di una legge che impedisce l’eleggibilità ai candidati con fedina penale sporca».

Alfredo Somoza, presidente di Icei (Istituto cooperazione economica internazionale) usa toni più sfumati e spiega a Il Sole-24Ore che le accuse a Lula sono giuridicamente fragili ma politicamente visibili: l’appartamento in una mediocre località balneare brasiliana «di cui non risulta proprietario ma potenziale utilizzatore è un’imputazione giuridica bizzarra». A maggior ragione in una San Paolo, definita “elicotteropoli”, per essere la città al mondo con il maggior numero di eliporti, usati da politici brasiliani che pagano la servitù con una manciata di banconote, in reais, ma posseggono ricchezze e redditi di miliardi, in dollari. «Ora più che il carcere sono ipotizzabili gli arresti domiciliari, ma la sconfitta politica è imponente». La notte dei giudici brasiliani, dopo 11 ore di consiglio, è stata interminabile. Chissà che, come per Kafka, nel buio si possano ritrovare le parole cercate con ostinazione nell’insonnia: il “Verdetto” prima, la “Metamorfosi” poi. Per l’imputato, Lula, e per il Paese, il Brasile.

© Riproduzione riservata