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Il cambio a L’Avana

Cuba senza i fratelli Castro: ecco l’era della «governabilità rivoluzionaria»

(Ap)
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Un nuovo inizio, forse. Quello della “governabilità rivoluzionaria”, un ossimoro che a Cuba non dispiace. Ancora una volta sarà la storia a giudicare, ripeterebbe il Lider Maximo Fidel. Intanto in “quest’isola dell’oppressioni” o in “quest’isola delle meraviglie”, a seconda dei punti di vista, va in scena un cambio epocale.

«Sarà un’altra dittatura, con un altro nome alla presidenza, non ci saranno cambi», dicono i cubano-americani, gli esuli a Miami. «È una svolta, eccome», replicano i cubani legati all’ortodossia, più numerosi di quanto si creda. Chissà. Raúl Castro cede la presidenza a Miguel Díaz-Canel, 58 anni, il primo presidente che rompe la linea dinastica iniziata nel 1959 con Fidel e terminata oggi. Come annunciato due anni fa, Raúl lascia: lo scranno va a un “giovane” di quasi sessant’anni. Un presidente nato dopo la Rivoluzione del lider maximo Fidel Castro, del 1959. Raúl e Fidel, uno vivo, l’altro no, rimarranno due presenze disincarnate ma ingombranti nel nuovo corso. Le grandi sfide sono tre: l’abolizione della doppia moneta, l’autosufficienza energetica e l’abolizione del Partito unico.

A Cuba si chiude l'era Castro, il testimone passa a Diaz-Canel

La doppia moneta
È la più odiosa delle nemesi, almeno per l’élite cubana più illuminata. E di certo per il popolo cubano. Nel Paese circolano due monete, dal 1994. Il peso cubano (Cup), con cui si pagano i salari statali e il peso convertibile (Cuc), equiparato all’euro, il cui cambio è 20 volte superiore a quello del Cup. È con il peso convertibile che si possono acquistare i beni in vendita a L’Avana. Il doppio sistema monetario ha creato due società parallele e rappresenta la distorsione più marcata del governo rivoluzionario, genera una disuguaglianza palese, un’insuperabile contraddizione per i padri della Revolucionche avrebbero voluto porre le basi di una struttura sociale innanzitutto egualitaria.

La “libreta”, tessera annonaria con cui ogni famiglia riceve gratuitamente un paniere alimentare, è inadeguata alle esigenze di una sopravvivenza decorosa. L’erosione di benessere è iniziata con la crisi dell’Unione Sovietica che inviava prodotti a prezzi calmierati in cambio di zucchero. Tra il 1989 e il 1993, quel periodo especial, definito così per la durezza della crisi, il Pil è crollato del 35%, il consumo di carne annuo è crollato da 39 a 21 chili pro capite e quello di pesce da 18 a 8. Alcuni prodotti alimentari, con la diffusione dei mercati “agropecuarios”, agroalimentari, sono acquistabili con i pesos cubani. Tutto il resto lo si paga in pesos convertibili, moneda dura, cui hanno accesso i militari, i politici e coloro che lavorano in ambito turistico. Oppure ricevono rimesse dagli Stati Uniti. Rafael Rojas, storico ed economista, indica l’incapacità di generare davvero un’economia mista (pubblico/privato) come «il più evidente tra gli insuccessi del Castrismo». E infatti la società cubana chiede, magna voce, maggiore autonomia, libertà di movimento, accesso a Internet, fine della censura, maggiore facilità di impresa.

Il parito unico
AAA….(R)evolución politica cercasi. Sembrava caduto il muro d’acqua che separa L’Avana da Miami e invece il ciclone Trump ha rimesso tutto in discussione. I consulenti di «The Donald» hanno rievocato lo spettro dell’isola comunista da combattere o almeno avversare. E quindi torna tutto come prima, con il bloqueo, l’embargo americano sempre vivo e il partito unico cubano sempre verde. Vero. Sono state introdotte riforme importanti, ma il modello politico non è stato modificato in modo sostanziale. I due riferimenti, Cina e Vietnam, sono rimasti tali. Il partito resta unico: le elezioni non sono un indicatore del reale sostegno della popolazione al governo: lo scollamento tra sistema di voto ed effettiva adesione alle scelte politiche si è registrato già nel 1998 quando il consenso al partito unico veleggiava attorno al 90%, ma in quelle stesse settimane vennero registrate richieste di visto per gli Stati Uniti provenienti dal 30% degli elettori. A oggi il Partito unico, il Poder Popular non lascia spazio a candidati indipendenti. Non molti anni fa è stato sabotato l’accesso a 170 candidati indipendenti che avrebbero creato un mercato politico-elettorale. Sono questi i corposi dossier sul tavolo del nuovo presidente Miguel Díaz-Canel. Un politico certamente conservatore, mai critico con il modello socialista ma capace di intraprendere, pur nel solco della Revolucion, un percorso di riforme.

L’autosufficienza energetica
Il periodo più duro. Quello che ha incrinato le convinzioni più granitiche dei castristi, dentro e fuori Cuba. È il “periodo especial”, appunto, quella stagione di ristrettezze seguite al tracollo dell’Unione Sovietica. Erano gli anni Novanta, quando le studentesse diventavano jeneteras e si offrivano ai turisti per pochi dollari. Oltre a quello alimentare è stato quello energetico il deficit più deflagrante. Negli anni a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta vi sono stati continui “apagones”, blackout. Fino a 15 al giorno. La soluzione è arrivata dal Venezuela; il governo amico di Hugo Chavez – uno dei pilastri di quella Alianza bolivariana che offriva mutuo soccorso ai Paesi soci – forniva a Cuba circa 90mila barili al giorno di petrolio. Petrolio in cambio di medici e maestri cubani che hanno rafforzato il sistema scolastico e quello sanitario del Venezuela. Un patto durato a lungo. Ora però il Venezuela del presidente Nicolas Maduro è impantanato in una crisi drammatica. Il crollo del prezzo del petrolio ha amplificato gli errori del governo di Caracas e L’Avana non potrà contare a lungo su questa rendita di posizione. Ecco perché l’approvvigionamento energetico è uno dei fattori critici di (in)successo della Revolución cubana. I rapporti tra Venezuela e Cuba rimangono strettissimi e c’è chi sostiene che la permanenza al governo di Maduro sia imputabile solamente al controllo militare esercitato dall’Alto comando basato a L’Avana.

Le elezioni presidenziali del Venezuela, in programma il 20 maggio prossimo, saranno seguite con particolare apprensione dal neo presidente. Sì perché, nella pur improbabile ipotesi di sconfitta di Maduro, L’Avana potrebbe risvegliarsi nel baratro di un’altra grave crisi energetica. Un incubo. A meno di non chiedere soccorso agli amici lontani, Russia e Cina che, vista la posizione geografica dell’isola, difficilmente direbbero di “no”.

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