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multilateralismo alla francese

Macron «padrone» del Congresso Usa: l’Iran non avrà mai la bomba atomica

Standing ovation per Emanuel Macron al Congresso Usa (Ap)
Standing ovation per Emanuel Macron al Congresso Usa (Ap)

Ha parlato davanti al Congresso americano a camere riunite. Un rito raro, quello che ha visto protagonista Emmanuel Macron. Caduto nell’anniversario esatto d’un simile - e citato - discorso di Charles de Gaulle nel 1960, secondo una formula che, per ultimo, aveva visto salire sul podio, due anni or sono, il premier indiano Nerendra Modi. Ma è stato un discorso ben piu' di sostanza che di circostanza: il presidente francese ha incalzato i parlamentari e l’opinione pubblica, con un monito affinché difendano multilateralismo, istituzioni e diplomazia globale, a cominciare dall’accordo nucleare con l’Iran che Donald Trump minaccia di strappare il prossimo 12 maggio. Macron ha invece dichiarato che è possibile oggi forgiare nuove intese, garantendo un futuro di non proliferazione nucleare e stabilità nella regione mediorientale.

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Niente armi nucleari all’Iran
«L’Iran non possiederà mai armi nucleari», ha detto sottolineando il comune obiettivo di Stati Uniti e Europa. «Non oggi, non fra cinque o dieci anni, mai». Ma ha aggiunto una difesa a spada tratta dell’intesa con Teheran, nota come Jcpoa. «È vero che non affronta tutte le preoccupazioni, ma non dobbiamo abbandonarla senza avere qualcosa di migliore». La Francia, ha insitito con una sottile stoccata alla credibilità americana, «non lascerà il Jcpoa perché l’abbiamo firmato. Il vostro presidente e il vostro Paese dovranno assumersi le loro responsabilità». Macron ha tuttavia rivelato un nuovo sentiero percorribile assieme dagli alleati occidentali, accennato il giorno prima nella conferenza stampa congiunta con Trump: «Quel che abbiamo deciso con il vostro Presidente è che possiamo lavorare su un accordo più vasto». Vale a dire su quattro pilastri: «La sostanza dell’attuale accordo, quel che accade dopo la scadenza della presente intesa nel 2025, il contenimento dell’influenza militare del regime iraniano e il monitoraggio di attività nei missili balistici». Macron ha indicato che serve «cominciare subito a lavorare per assicurare che, qualunque sia la decisione statunitense il 12 maggio, non lasceremo spazio al vuoto di regole».

I «pilastri» del nuovo accordo
L’essenza dei «pilastri» è riconducibile ai documenti aggiuntivi da settimane in discussione tra Stati Uniti e paesi europei per venire incontro alla richiesta di Trump di indurire l’intesa. Una scadenza decennale alla denuclearizzazione militare di Teheran verrebbe in particolare corretta da un criterio permanente: sanzioni qualora giunga a un anno da ordigni atomici. Le discussioni tra alleati non sono però complete, né è chiaro il loro destino, se Parigi saprà farsi carico di nuove, cruciali e protratte trattative e se Russia e Cina oltre all’Iran - gli altri firmatari del Jcpoa - accetteranno modifiche o aggiunte.

Nei tre giorni di incontri bilaterali con Macron, Trump ha sia inveito contro l’accordo iraniano che mostrato disponibilità a considerare svolte quali la «nuova intesa» allargata. Ma le incognite sulla strategia ultima della Casa Bianca restano molte: divisioni sono emerse nella stessa cerchia dei collaboratori più stretti. John Bolton, neo-consigliere per la sicurezza nazionale, appare un falco incorreggibile su Teheran e considera l’intesa da cancellare. Più pragmatico, aperto a soluzioni negoziali, sarebbe invece il Segretario di Stato in pectore, Mike Pompeo. Parlando successivamente con i giornalisti, il presidente francese ha detto di aspettarsi comunque che gli Usa si ritireranno dall’accordo stipulato con Teheran.

Tra isolazionismo e nuovo ruolo per Onu e Nato
Macron è entrato ieri in pressing su altri terreni delicati nei rapporti tra vecchio e nuovo continente, facendo leva sullo «speciale legame» storico tra Francia e Stati Uniti e soprattutto sulla sua speciale relazione personale con Trump. A volte ha sfidato apertamente la freddezza della maggioranza repubblicana al Congresso, come quando ha espresso la convinzione che Washington «un giorno tornerà nell’accordo di Parigi» sul clima perché «non esiste un Pianeta B». Ha inoltre invocato la necessità per gli Stati Uniti di sposare un «robusto multilateralismo» per affrontare «sfide globali», dal terrorismo alla diseguaglianza, e costruire un «nuovo ordine per il 21esimo secolo». Ha denunciato un’epoca di «rabbia e paura» che impone la difesa della democrazia e dei diritti umani. E ha evocato un bivio per tutti: da un lato chiusura, isolazionismo e nazionalismo; dall’altro agire con occhi sempre più aperti, come comunità internazionale e con crescente cooperazione, difendendo istituzioni collettive dalle Nazioni Unite alla Nato che altrimenti potrebbero soccombere.

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