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Iran e nucleare: tutti i rischi legati alla fine dell’accordo

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Dopo l'incontro Trump-Macron

Iran e nucleare: tutti i rischi legati alla fine dell’accordo

Alla fine, nonostante il suo inziale ottimismo, il presidente francese Emmanuel Macron ha dovuto rassegnarsi: non ci sarà un nuovo e più severo accordo sul dossier nucleare iraniano capace di salvaguardare l’intesa. Probabilmente Donald Trump stralcerà il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) .
«Il mio punto di vista è che (Trump) uscirà da questo accordo per conto suo, per motivi interni», ha dichiarato il presidente francese al termine della sua visita di tre giorni negli Stati Uniti. Macron sperava di mettere sul tavolo una soluzione di mezzo, per scongiurare l’uscita da parte degli Usa e salvaguardare l’accordo firmato nell’estate del 2015 dal gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) con l’Iran. L’intransigenza del presidente americano si è però rivelata un ostacolo insormontabile.

Conto alla rovescia verso il 12 maggio
E ora che accadrà? Il tempo stringe. Mancano ormai poco più di due settimane al 12 maggio, il termine indicato da Trump entro cui uscirà dal Jpcoa, dando il via ad un nuovo round di sanzioni, a meno che non vengano inserite le modifiche da lui richieste e mai accettate dall’Iran. I tentativi del presidente francese di rassicurare il Congresso americano che l’Iran non avrà mai la bomba atomica, e la sua insistenza affinché gli altri leader europei diano il via a un nuovo round di sanzioni contro il programma balistico iraniano (separato tuttavia dall’accordo sul nucleare), non sembrano aver fatto presa sul presidente americano e sul suo team.

Cosa accadrà quando Trump uscirà dall’Intesa?
Tutto è ancora incerto. Ma in caso di uscita unilaterale l’Iran, che peraltro era contrario a un nuovo e più stringente accordo, ha sempre precisato che senza gli Stati Uniti si ritirerà dal Jpcoa e riprenderà il suo programma nucleare. Il Congresso americano darà il via a un nuovo round di sanzioni che avrebbero un impatto quasi immediato sull’economia iraniana. Non è affatto escluso che possano decretare anche un embargo sulle esportazioni iraniane di greggio. Uno scenario capace di sottrare ai mercati petroliferi, ormai alle prese con un’offerta appena sufficiente, anche 500mila barili di greggio (sul medio-lungo termine anche di più) di produzione iraniana. Una perdita che, unita alle inevitabili tensioni in Medio Oriente, si ripercuoterà sulle quotazioni internazionali del greggio, oggi già intorno ai massimi da due anni e mezzo, con una serie di rialzi.

Una potenziale corsa al nucleare in Medio Oriente
In caso di stralcio del Jpcoa l’Arabia Saudita, che non ha mai smesso di attaccare l’intesa, sarebbe soddisfatta. Riad , le cui relazioni con Teheran sono cadute ai minimi storici, ha sempre fatto pressioni su Washington affinché abbandonasse il Jpcoa. La situazione, tuttavia, si avviterebbe.
Perché a questo punto, le monarchie del Golfo nemiche di Teheran cercheranno a loro volta di accelerare il loro programma nucleare. In gennaio, durante il suo lungo viaggio (tre settimane) negli Stati Uniti, il principe reggente saudita, Mohammed Bin Salman, aveva inserito nella sua agenda un tema “caldo”: il programma nucleare saudita. Già dal 2010 Riad ha infatti avviato un programma per fini civili che prevede la costruzione di 16 reattori entro il 2030, (anche se il primo sarebbe dovuto entrare funzione nel 2022). La motivazione è la stessa di quella, da tempo, sbandierata dai rivali iraniani; creare energia pulita per i crescenti consumi interni e avere più petrolio destinato all’export. Eppure le dichiarazioni rilasciate prima del viaggio da Mbs non sembrano ispirate a un uso pacifico dell’atomo: «Se l’Iran avrà la bomba atomica, la svilupperemo anche noi, il prima possibile», aveva avvertito. E chi aiuterà i sauditi nel loro cammino verso la tecnologia nucleare “a fini pacifici”? Il suo migliore alleato, Donald Trump. Per non avvantaggiare i concorrenti britannici, francesi, giapponesi e cinesi, Trump intenderebbe concludere un accordo di cooperazione sul nucleare civile con Riad. A condizione che i sauditi non arricchiscano l’uranio, passo che li porterebbe in breve tempo a fabbricare un ordigno nucleare. Il fatto che Riad, come Teheran, sia un Paese firmatario del Trattato di non proliferazione non suona tuttavia come una garanzia.

L’Europa tra l’incudine e il martello
E l’Europa? I paesi con grandi relazioni commerciali con la Russia si troveranno tra l’incudine e il martello. Scegliere se unirsi alla linea di Trump e non incorrere nelle sanzioni unilaterali americane ma accusare ricadute commerciali con l’Iran e soprattutto con la Russia, oppure continuare ad andare avanti compatti sulla linea di difesa dell’accordo, che senza gli Usa resta però svuotato. In ambedue i casi il prezzo da pagare sarà molto alto e la crisi diplomatica tra Bruxelles e Washington si aggraverà.
In caso di stralcio del Jpcoa un’altra minaccia incombe questa volta contro gli Stati Uniti: una potenziale ondata di cyber attacchi ispirati dall’Iran contro i punti nevralgici della politica e della finanza americana.
Il tempo stringe. C’è ora da sperare nella capacità degli altri influenti politici americani di convincere Trump a una soluzione di compromesso. Ma a questo punto è un’ipotesi remota.

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