Che cosa ha spinto il leader nordcoreano Kim Jong-un ad accettare di mettere nero su bianco l’obiettivo “congiunto” con il Sud di arrivare a una «completa denuclearizzazione» della penisola e di perseguire un trattato di pace che sostituisca l’armistizio del 1953? I pareri sono discordanti tra gli analisti, ma è probabile che, come spesso succede, una serie di concause abbia determinato la svolta – peraltro ancora da verificare sul piano pratico - nell’atteggiamento del dittatore di Pyongyang. Ecco i fattori più citati.
Il fattore Trump
I “trumpiani” di tutto il mondo esultano all’idea che sia stata la diplomazia non ortodossa, anzi l’anti-diplomazia, del presidente americano a spingere Kim a fare concessioni impensabili che ora aprono prospettive politiche del tutto inedite in Asia Orientale. Secondo questa linea di pensiero, ha pagato il fatto che Trump abbia “fatto il matto”, secondo un atteggiamento negoziale che era stato a suo tempo evocato dal suo predecessore alla Casa Bianca Richard Nixon. Come a volte succede in trattative di business, durezza e imprevedibilità possono diventare un fattore di successo negoziale. Ecco allora che gli insulti («Little Rocket Man»), le più estreme minacce («Non avremo altra scelta che distruggere totalmente la Corea del Nord» per evitare che acquisisca capacità missilistiche intercontinentali in grado di colpire il territorio Usa anche con testate nucleari), e una calcolata indifferenza alla gravità delle possibili ritorsioni di Pyongyang verso Seul e Tokyo, avrebbero indotto Kim a più miti consigli.
Il fattore Moon
Da sola, la spiegazione del “matto Trump” non regge. Ma può assumere una sua logica se coniugata al “fattore Moon”. Il presidente sudcoreano di centro sinistra certamente è stato il più preoccupato di tutti i politici per le aspre tensioni dell’anno scorso: dopotutto, una nuova guerra, secondo tutti gli studi specializzati, avrebbe certamente provocato vittime a migliaia, se non a decine di migliaia, in una Seul sotto il tiro della stessa artiglieria convenzionale del Nord. Già Moon aveva promesso in campagna elettorale un atteggiamento più morbido e costruttivo rispetto a quello duro dell’amministrazione Park. Assunto il potere in circostanze che diventavano sempre più critiche, Moon ha accelerato la sua nuova “Moonshine policy”, nonostante i furori dell’opposizione conservatrice. Kim se ne è accorto. Molto probabilmente, non si sarebbe fidato di un governo di destra a Seul. Ha invece trovato la sponda ideale in Moon, il miglior presidente sudcoreano che possa augurarsi.
Il fattore sanzioni
I ripetuti test missilistici e nucleari dell’anno scorso hanno portato a più aspre sanzioni internazionali contro il regime nordcoreano, alle quali si sono aggiunte altre penalità americane di portata extraterritoriale. Tutto questo, secondo vari osservatori, ha avuto una incidenza negativa sull’economia nordcoreana. Non è un mistero che Kim voglia anzitutto annacquare il regime sanzionatorio che penalizza il suo Paese.
Il fattore Cina
È un elemento messo in ombra, ma certo Kim deve avere avuto da Pechino diverse sollecitazioni per ammorbidire la sua linea. Anzitutto economiche: le pressioni americane hanno indotto Pechino ad applicare le sanzioni internazionali in modo meno blando. Ma non solo. Mostrando che ci sono limiti al supporto di fondo che la Cina dà a Pyongyang, Kim deve aver riflettuto che non gli conveniva spingere sull’acceleratore dell’isolamento internazionale.
Il fattore nucleare
È quello che per molti analisti pesa più di tutti: Kim si e' deciso a offrire ramoscelli di ulivo perche', dopo gli ultimi test, il suo programma missilistico-nucleare ha fatto passi avanti fondamentali. Pyongyang si sente una potenza nucleare, che quindi può ora trattare da pari a pari, senza condizioni di inferiorità negoziale. E gli altri lo sanno. A questo punto, Kim deve aver percepito che – una vota raggiunta la sicurezza di un fortissimo deterrente contro eventuali tentativi di “regime change” – gli convenga cementare il consenso all’interno con una maggiore attenzione alle esigenze dell’economia e della popolazione civile.
Questi fattori, ovviamente, si intersecano: nel loro complesso, hanno prodotto gli storici risultati del summit di oggi a Panmunjom. Adesso viene il difficile: arrivare davvero a una completa e verificabile denuclearizzazione della penisola. Su questo punto, scettici e pessimisti abbondano anche dopo il grande simbolismo pacifico del vertice tra Kim e Moon.
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