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Viaggio tra le diverse anime di Beirut nel giorno di un voto chiave per il Medioriente

Beirut - Dahieh, la roccaforte degli sciiti di Hezbollah. Ghobeiry, quartiere sunnita vicino al premier Saad Hariri. Ashrafieh, il cuore pulsante dell'area cristiana. Il nostro viaggio tra le diverse anime di Beirut inizia la mattina presto. La capitale del Libano si presenta con un aspetto surreale. Le strade sono deserte, i negozi chiusi, anche i vivaci mercati. Solo i colorati manifesti elettorali, che tappezzano ogni angolo della capitale del Libano, ricordano che oggi è giorno di elezioni. Un voto importante, il primo dopo nove anni. Con una nuova legge elettorale.

Forse anche troppo complessa ; un sistema proporzionale in cui i cittadini potranno esprimere la preferenza per un candidato ma in cui i diversi candidati di una stessa lista si contendono i voti degli elettori. In questo contesto solo i due partiti sciiti - di Hezbollah e Amal - hanno presentato in quasi tutte le circoscrizioni liste condivise a livello nazionale. Tutti gli altri partiti hanno formato liste congiunte dal valore contingente a livello locale, scontrandosi invece in altri distretti.

In ogni caso verrà preservata la rigida spartizione confessionale dei poteri (il presidente della Repubblica deve essere cristiano maronita, il primo ministro sunnita, il capo del Parlamento sciita) e quella dei 128 seggi del Parlamento: la metà ai cristiani, la metà ai musulmani (sciiti, sunniti e drusi).

Dahieh, la roccaforte di Hezbollah
Entriamo a Dahie, la roccaforte del movimento sciita Hezbollah, “Il Partito di Dio”. Non vi sono più tracce dei pesanti bombardamenti israeliani avvenuti nella guerra d'estate del 2006 , quando Hezbollah e l'esercito israeliano si confrontarono per oltre 30 giorni in un aspro conflitto in cui, alla fine, non ci furono né vincitori né vinti. Hezbollah ha voluto ricostruire tutto in fretta, in meno di un anno. Quasi volesse dimostrare ai libanesi che Israele non avrebbe mai lasciato il segno.

Al posto dei cartelloni pubblicitari campeggiano dovunque i volti dei “martiri” sciiti, severi nella loro espressione, quasi fossero un monito severo a non dimenticare il passato, ed il presente. Sono i miliziani sciiti caduti nella guerra del 2006, e i miliziani caduti in quella che si combatte ancora, in Siria, contro i ribelli sunniti. Se il presidente siriano Bashar al-Assad è rimasto al potere, se sta riconquistando gradualmente buona parte della Siria, il merito è del sostegno della Russia, che nel settembre 2015 ha avviato una campagna di bombardamenti aerei, ma anche dei miliziani iraniani e delle migliaia di combattenti inviati da Hezbollah, gli scarponi sul terreno, la fanteria internazionale di al-Assad.

Nelle strette viuzze di Dhaie i fili dell'elettricità pendono a pochi metri dalla nostra testa come un'immensa ragnatela. Sopra di loro, a ricoprire l'intera facciata di alcuni palazzi, troneggiano le foto di Hassan Nasrallah, il leader spirituale di Hezbollah. E del suo messaggio: “Il nostro appuntamento con te è il sei di maggio (giorno del voto, Ndr). Il mondo è più bello quando sorridi”.
In questa complessa legge elettorale vi è un meccanismo che alla fine premia i partiti più forti e organizzati se l'affluenza si rivelerà alta. Mai come in queste elezioni Hezbollah ha organizzato così tanti e così grandi comizi elettorali. Davanti ad ogni seggio vi è poi uno stand di attivisti del Partito di Dio che spiega con calma alla gente come votare, e probabilmente anche per chi votare.
Quando ci avviciniamo ad un seggio le strade improvvisamente si riempiono. Il traffico è convulso. Vi sono forze di sicurezza dappertutto. Anche nei corridoi delle scuole gremiti di elettori.

Con pazienza, in fila ordinata, gli abitanti di Dahie attendono il loro turno. L'affluenza è decisamente più alta qui rispetto a nove anni fa. E per quanto siamo in un quartiere sciita, uno dei più conservatori, gli elettori , anche le donne, parlano volentieri. Cosa insolita, si fanno perfino fotografare. Come le due giovani adolescenti, ricoperte da lunghi chador neri, con in mano la bandiera gialla del movimento Hezbollah al cui centro è disegnato un kalashnikov. La loro madre, Zahra Hallaal esibisce con orgoglio il dito macchiato di inchiostro viola, segno del voto. «Ho votato Hezbollah perché sono la resistenza che protegge il popolo libanese. I sunniti sono per l'Arabia Saudita e per Israele» afferma con decisione quasi recitasse uno slogan. Poi prosegue. «Hezbollah garantisce la convivenza di tutti. Non mi fido dei sunniti, e no non mi fido dei loro rifugiati siriani. Devono tornare in Siria».

La guerra civile in Siria, e la conseguente ondata di rifugiati siriani - in gran parte sunniti - che ha sconvolto l'equilibrio demografico del Libano (sono più di un milione , il 25% della popolazione) rappresentano due argomenti molto sensibili, motivo di profonde divisioni tra i libanesi sunniti e quelli sciiti. Pur senza inserire l'argomento nei programmi elettorali, il blocco sciita, ma anche quasi tutti i partiti cristiani, ha fatto capire ai loro elettori che il rimpatrio dei rifugiati (che tali non sono qui perché il Libano non ha firmato la Convenzione di Ginevra) è una necessità. Il Libano, ripetono molti elettori, non può permettersi di sostenere un tale fardello, non ha le strutture adeguate. Molti sunniti, tuttavia , la pensano diversamente.

Alì, 57 anni, medico, mostra un atteggiamento moderato. «In Libano c'è spazio per tutti. Possiamo convivere pacificamente. Noi siamo Hezbollah, non siamo l'Iran, con cui portiamo avanti una collaborazione, anche stretta, che tuttavia non diventerà mai un'ingerenza nei nostri affari interni. Vogliamo la pace. Siamo stanchi della guerra in questa regione. Ance se una guerra qui è sempre dietro l'angolo, soprattutto in questo periodo» Poi aggiunge: «Io sono sciita, ho votato la lista di Nasrallah e di Amal (altro partito sciita libanese, ndr), ma vorrei uno Stato in cui non ci fosse una ripartizione confessionale dei seggi».

Ashrafieh, il dinamico quartiere cristiano
Lasciamo Dahie e ci indirizziamo verso Ashrafieh, il dinamico quartiere cristiano di Beirut. Un gigantesco manifesto elettorale ricopre quasi tutta la facciata di un palazzo. E' una pistola composta da pezzi di schede elettorali del partito cristiano “forze libanesi” guidato da Samir Geagea, con sotto una scritta:“Il tuo voto è l'arma legale”. Un chiaro e critico riferimento all'arsenale militare di Hezbollah: un esercito parallelo ben più organizzato e armato di quello nazionale libanese. Un esercito che non piace a nessun altro partito sunnita o cristiano.

Anche qui le forze di sicurezza sono onnipresenti e presidiano i seggi. Quello in cui entriamo, allestito in una scuola pubblica a fianco di una grande chiesa, è tuttavia molto meno affollato rispetto a Dahieh. E all'esterno non vi sono stand di simpatizzanti per “istruire” gli elettori.

Una donna anziana accetta di parlare. Ha appena votato. Si chiama Nazeli, ha 75 anni ed è armena. «Ho vissuto sulla mia pelle tutte le guerre di questo Paese – confida con una sorta di rassegnazione - . Io credo che il Libano non abbia futuro. Noi anziani veniamo trascurati dallo Stato. Non abbiamo sanità, né welfare. Ho votato perché era mia dovere ma sapendo che le cose non cambieranno». Nel suo fluente inglese, Houry 47 anni, cristiana maronita, di professione pianificatrice di eventi, mostra un'obiettività che pochi altri interlocutori hanno mostrato. «Questa legge elettorale crea confusione tra i libanesi. È troppo complessa – precisa . Qualunque governo si formi dopo il voto, deve affrontare la crisi economica che peggiora ogni anno che passa. I giovani laureati sono costretti ad andare a cercare lavoro all'estero, a Dubai o nei Paesi europei. Ma non diamo la colpa ai rifugiati siriani. Loro svolgono in gran parte lavori che la maggior parte dei libanesi rifiuterebbe».

Ghobeiry, l'area sunnita
Usciti dal seggio prendiamo la strada per Ghobeiry, un quartiere sunnita. Anche qui c'è molta confusione davanti al seggio. Ma il clima è più teso. Pochi minuti prima è scoppiata un'accesa lite tra i sostenitori di due diversi partiti sunniti. D'altronde, con questa nuova legge elettorale, altri candidati sunniti rischiamo di erodere i consensi per Saad Hairi, per quanto la sua riconferma a primo ministro sia vista come lo scenario più probabile.

Dopo aver votato Mohammed Kassar, 38 anni, e suo padre Ahmad, 72 anni, accettano di parlare. «Sono sunnita ma ho votato per la lista di Hezbollah – spiega Mohammed - . A mio avviso gli sciiti si sono dimostrati più onesti e più organizzati. I sunniti si sono presentati troppo divisi. Speriamo che tutto si normalizzi anche se temo che un conflitto tra Iran e Israele in Siria sia imminente. E quindi a cascata un nuovo confronto militare in Libano tra Hezbollah e Israele». Il padre Ahmad, 72 anni è più riservato. «Ho esercitato il mio dovere. Ma non penso che la situazione cambierà molto». Il figlio sorride, e suggerisce sottovoce «Ha votato una lista sunnita». Quasi volesse ribadire come in Libano le divisioni confessionali non rappresentano una barriera invalicabile. D'altronde vi sono numerosi matrimoni tra sunniti e sciiti, anche tra musulmani e cristiani, per quanto questi ultimi debbano essere celebrati con rito civile nella vicina Cipro. E nella stessa famiglia si possono trovare membri che parteggiano per liste sunnite ed altri per liste sciite.

Certo la spartizione confessionale dei seggi resterà in vigore ancora a lungo. Per preservare la stabilità di un piccolo Paese dove convivono 18 confessioni religiose che si regge su un precario equilibrio.

Alla fine della giornata si è fatta strada una precisa impressione: se una visita in pochi seggi elettorali può esser considerata un campione – cosa tutta verificare – quello a cui assistiamo non depone certo a favore di una vittoria di Hariri. Gli elettori sunniti sono divisi, così come i loro partititi. Hariri rischia di perder diversi seggi. Il compatto blocco sciita ne uscirà così rafforzato. Divisioni confessionali a parte, sembra che i libanesi non vogliano rinunciare ad una loro peculiarità: quella di essere la popolazione di un Paese mediorientale in cui una rispettosa e pacifica coesistenza tra diverse religioni è possibile.

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