Che succede in Iran alla vigilia della possibile uscita degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare firmato in pompa magna nel 2015 dal presidente americano, Barack Obama, Cina, Russia e partner europei? Qual è lo stato attuale del Paese cinque mesi dopo la violenta rivolta di dicembre che aveva fatto vacillare il regime degli ayatollah?
«La Repubblica islamica è in una fase molto critica con il rial, la valuta locale, che continua un massiccio declino - dice Alireza Nader, un profondo conoscitore del paese -. Inoltre il settore bancario è a rischio di bancarotta mentre l'accordo sul nucleare, meglio noto con l'acronimco JCPOA, è sull'orlo del fallimento».
Un giudizio severo che non fa presagire niente di buono. Intanto gli insegnanti sono in sciopero nella città di Yazd, seguiti da operai delle acciaierie e dal personale degli ospedali di Ahvaz. Come se non bastasse i ferrovieri hanno deciso uno sciopero a Tabriz, importante snodo del traffico ferroviario. Come pure i conducenti di bus che hanno incrociato le braccia a Teheran reclamando aumenti salariali.
Due anni dopo che le sanzioni internazionali sono state tolte la qualità della vita in Iran non è affatto migliorata per la popolazione, stanca di vane promesse del presidente Hassan Rouhani e chiede aumenti salariali. E dopo la possibile uscita degli Usa di Donald Trump dall'accordo sul nucleare le cose non potranno che andare peggio.
I prezzi di uova, pane e farina sono aumentati più del 10% in un anno mentre la disoccupazione è balzata al 12% secondo le statistiche ufficiali (da prendere con cautela) e la moneta locale precipita e fa aumentare il prezzo dei prodotti importati.
Perfino dopo l'aumento del prezzo del greggio gli iraniani hanno continuato a vedere le cose peggiorare. Le maggiori entrate sono state spese nelle guerre in Iraq, Siria e perfino in Libano a sostegno degli Hezbollah, scelte politiche di espansionismo egemonico regionale che hanno drenato risorse importanti allo sviluppo interno facendo andare a rotoli il rial. Un dollaro Usa è passato da 38mila rial a 58mila in un anno e mezzo mentre il cambio ufficiale del 9 aprile è rimasto fermo a 42mila rial per un dollaro.
I salariati delle coltivazioni di zucchero ad Haft Tapeh non ricevono la paga da mesi e dopo alcuni scioperi sono intervenuti delle bande armate a sedare la protesta. A gennaio e febbraio si sono svolte delle proteste in numerose città del paese contro il caro vita e la corruzione dilagante, ma il governo ha poi riconquistato le piazze e ha sconfitto i dimostranti usando il pungo di ferro della repressione dei Basiji, un corpo paramilatare vicino ai Guardiani della Rivoluzione, il fulcro del regime che controlla l'esercito e buona parte dell'economia.
La protesta ha coinvolto anche l'universo femminile con donne che pubblicamente si sono tolte il velo (obbligatorio) in pieno centro cittadino di Teheran e sono state arrestate dalla polizia morale, un corpo speciale che controlla il rispetto dei precetti islamici.
La protesta sta colpendo il regime con accuse di corruzione e incapacità di gestire l'economia anche in un momento di bonanza del prezzo del greggio, la più importante rimessa del paese.
Per il sindacalista Alireza Saghafi-Khorasani -riporta il Wall Street Journal -la rabbia sociale sta per esplodere mentre non c'è nessun piano di sviluppo economico adeguato da parte dell'esecutivo.
Il governo di Hassan Rouhani, sostenuto dalla Guida suprema l'ayatollah Ali Khamenei, è in difficoltà e non sembra capace di sostenere le promesse fatte in campagna elettorale di una svolta mentre i falchi del regime spingono per un cambio verso politiche più repressive. Nel 1979, quando gli scioperi contagiarono gli operai del settore energetico, fu chiaro che la fine dello Scià era vicina perché le proteste operaie bloccarono le rimesse che tenevano in piedi il Paese.
Per ora sono stati arrestati solo degli operai dell'acciaio, come ha riportato Radio Farda, un ente finanziato dagli Usa che trasmette da Praga come ai tempi della Guerra Fredda - ma se gli scioperi dovessero arrivare al settore energetico, per gli ayatollah sarebbe l'inizio di una crisi molto complicata da gestire.
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