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Marcia indietro di Trump su Zte: esenzioni sui dazi per l’azienda

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Marcia indietro di Trump su Zte: esenzioni sui dazi per l’azienda

Nella politica commerciale al cardiopalma di Donald Trump arriva l’ultimo, drammatico colpo di scena: il promesso “salvataggio” del colosso cinese di elettronica e telecomunicazioni Zte, dopo che la Casa Bianca l’aveva nei fatti condannato a chiudere a colpi di sanzioni per ragioni di sicurezza nazionale e violazione di embarghi. Un salvataggio annunciato dallo stesso presidente, che via Twitter ha prima indicato d’aver istruito la sua amministrazione a risolvere la crisi; poi, di fronte a scetticismi, ha aggiunto che «tutto si sistemerà». E al quale ha infine dato seguito con un’accelerazione nelle trattative: nella serata di ieri sono emersi i contorni d’un compromesso.

Zte serebbe esentata da sanzioni-killer che le impediscono di ricevere indispensabili componenti made in Usa. In cambio Pechino rimuoverebbe dazi su miliardi di dollari di prodotti agricoli americani, cancellando, tra l’altro, la rappresaglia all’offensiva di Trump su acciaio e alluminio. Ed eliminerà gli ostacoli sulla strada del leader statunitense dei semiconduttori Qualcomm, che ha visto la sua acquisizione dell’olandese Nxp Semiconductors frenata dalle autorità asiatiche.

L’apparente svolta, ancora da completare, mette in luce la delicata partita tra Washington e Pechino: la Casa Bianca si è mossa verso una potenziale guerra nell’interscambio, facendo della Cina l’esempio della dottrina di America First e della denuncia di rapporti commerciali iniqui. Ha preso di mira sia il deficit bilaterale che le pratiche di Pechino sulla proprietà intellettuale e sui forzati transfer tecnologici imposti alle aziende occidentali che operano nel Paese, minacciando sanzioni contro 150 miliardi di dollari di import. È un duello che ha anche portata strategica: gli Stati Uniti vogliono mantenere il vantaggio su innovazione e hi-tech, che la Cina vuole invece erodere. C’è chi ha definito il confronto una “guerra fredda” tecnologica e Zte, con 75.000 dipendenti e business in 160 Paesi, è considerato un tassello importante dell’influenza globale cinese.

Allo stesso tempo, però, sono comparsi alcuni segnali di disgelo o tregua, per una Casa Bianca affamata di successi. Inviati di Pechino saranno negli Usa questa settimana per negoziare sulle dispute. E alla posta economica in gioco già alta oggi si somma quella di politica estera: la Casa Bianca vuole “arruolare” Pechino per ottenere un soddisfacente accordo con la Corea del Nord, frutto dello storico summit tra Trump e l’uomo forte di Pyongyang Kim Jong-un organizzato il 12 giugno. Pechino è da sempre il principale partner di Kim e un’eventuale intesa di denuclearizzazione della penisola coreana diventerebbe la più grande e rischiosa scommessa di politica estera dell’era Trump.

Questi calcoli sono alle spalle delle manovre su Zte. Che tuttavia, nel dipanarsi nel corso delle ore, mostrano tutte le incognite delle strategie dell’amministrazione, spesso parse poco preparate. Trump ha emesso un diktat: «Il presidente cinese Xi e io stiamo lavorando assieme per dare rapidamente a Zte un modo di tornare a far business. Troppi posti di lavoro a rischio in Cina. Il Dipartimento al Commercio ha ricevuto istruzioni di trovare la soluzione». Un successivo tweet è stato possibilista ma più cauto sul commercio: «Cina e Stati Uniti stanno lavorando bene sul commercio, ma i negoziati passati sono stati così favorevoli alla Cina che è difficile per loro accettare un accordo che benefici entrambi i Paesi. State tranquilli, però, tutto andrà a posto». Un portavoce ha tuttavia dovuto correggere almeno temporaneamente il tiro affermando che, su Zte, il Dipartimento del Commercio giungerà alle proprie conclusioni in modo «indipendente».

Il gruppo cinese era stato colpito da sanzioni nel 2016 per aver violato l’embargo contro Iran, Sudan, Corea del Nord, Siria e Cuba, in seguito era stato multato e infine messo al bando per aver violato impegni a risanare il management. L’intelligence americana l’aveva inoltre considerato un pericolo per cybersicurezza e spionaggio.

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