Raggiungere Älmhult, cuore e cervello mondiale di Ikea è una piccola impresa. C'è il volo, su Copenhagen, e poi un treno, non sempre affidabile, che raggiunge questa cittadina di 8mila anime dove 75 anni fa è nata la più grande azienda di mobili del mondo. In mezzo, tra l’organizzatissimo aeroporto danese e la Disneyland del mobile svedese, ci sono due ore di viaggio e lo spettacolare passaggio su the Bridge, il mitico ponte di Öresund: 15,9 km che collegano Copenhagen a Malmö.
L’arrivo e l’hotel
Un guasto al treno raddoppia il tempo che mi separa dalla mia destinazione, ma alla fine scendo alla stazione di Älmhult. Impossibile perdersi: qui tutte le strade portano a Ikea, basta seguire la frecce Ikea Hotell e in cinque minuti ne raggiungo l’ingresso. Il cielo è plumbeo e lo è altrettanto la facciata dell'albergo, un austero contenitore di cemento che all'interno acquista personalità con gli arredi rigorosamente della maison. Prima lezione: scegli bene dal catalogo, mescola un po’ legni e colori e renderai vivace anche lo spazio più neutro. La full immersion nel mondo Ikea prosegue in camera. Io e la valigia siamo gli unici elementi a non far parte delle collezioni più recenti della multinazionale svedese.
Fuori, c’è un mondo piccolo, ma molto interessante da scoprire. Ci vuole un po’ per prendere l’esperienza sul serio, ma quando ci si lascia andare basta poco per farsi conquistare dal modello di vita e lavoro proposto ad Älmhult. Tutto ruota attorno a un piazzale, un parcheggio – più piccolo di quello di un qualsiasi negozio Ikea in giro per il mondo– su cui si affacciano tutti gli edifici strategici per lo sviluppo dei prodotti, oltre all’albergo e all’Ikea Museum.
Un museo pedagogico
Inaugurato nel 2016 dove precedentemente sorgeva il primo negozio aperto da Ingvar Kamprad nel 1958, il museo è un buon punto di partenza per scoprire l’evoluzione dell’azienda fondata nel 1943 e che oggi conta oltre 200mila dipendenti e 415 negozi in tutto il mondo.
Appena entrata, mi accoglie una gigantografia di Ingvar, un omaggio al fondatore che, quando mi avvicino, si rivela qualcosa di differente: un mosaico fatto con i ritratti dei dipendenti Ikea, quella “maggioranza delle persone” a cui Kamprad si è sempre rivolto. Il viaggio nell’esposizione è in tre tappe: le nostre radici, la nostra storia, la vostra storia. Si va dal passaggio dalle campagne alla città in Svezia ai mille aneddoti su Kamprad e sull'azienda, quadri di vita vissuta che non mancano di autoironia, come la ricostruzione dello studio del fondatore con la poltrona dal bracciolo sfondato, la scatola con i primi risparmi di Ingvar bambino realizzati vendendo fiammiferi, semi e pesci.
C’è il ricordo del primo ristorante aperto nel negozio di Älmhult nel 1959 perché «non si fanno buone scelte a stomaco vuoto» e, alle pareti, citazioni del Testamento di un commerciante di mobili, pamphlet-decalogo scritto da Kamprad nel 1976, summa della filosofia del Design democratico. Certo c'è dell'autocelebrazione nell'esposizione, ma è anche un'interessante ricostruzione di oltre mezzo secolo di globalizzazione.
Prima di andarmene non resisto a una sosta nello studio fotografico, replica del setup dell’ultimo catalogo Ikea. Premo un bottone e, il tempo di sedermi sul nuovo divano Vimle, la foto è fatta, devo solo aspettare un minuto per portarmi via la stampa, un’edizione speciale della copertina della Bibbia Ikea. Ultima tappa, il negozio del museo, dove sono esposte variazioni dei grandi classici Ikea, edizioni limitate, ma sempre accessibili, come l’iconica borsa Frakta realizzata in colori diversi dai classici giallo e blu, pezzi unici da un euro (un affare se paragonati alla riedizione proposta lo scorso anno da Balenciaga a quasi 2mila euro).
Il Democratic design Center
Per scoprire dove Frakta e le sue compagne sono nate bisogna entrare al Democratic design Center. Da qui ogni anno nascono le idee che portano alla creazione di 2mila nuovi prodotti. L’ambiente è decisamente internazionale (all’Ikea di Älmhult lavorano 2mila persone provenienti da 52 Paesi diversi) la parola d’ordine qui è trasparenza, scambio di informazioni, tra designer, ingegneri, prototipisti, esperti di logistica, fornitori, la lingua, invece è lo swenglish, un inglese che spesso ha la cantilena tipica della lingua svedese.
Le idee e i disegni condivisi diventano oggetti nel Prototype Shop, il centro prototipi dove, anche grazie all’uso delle stampanti 3D, si materializzano gli embrioni dei prodotti. Il centro, aperto nel 1956 da Gillis Lundgren, primo designer Ikea e papà della Billy, è il luogo dove si impara dagli sbagli e dove si mettono a punto piccoli, ma rivoluzionari dettagli come il nuovo perno a incastro che riduce drasticamente i tempi di montaggio. Per ogni prodotto il viaggio è lungo e la decisione finale dipende sempre dalla domanda “migliorerà la vita delle persone?”. I designer, mi spiegano, viaggiano spesso sia per visitare i fornitori sia per capire che cosa ottenere da materiali differenti. Al rientro ad Älmhult poi lo scambio continua con i file 3D.
Qui e al Prototype Shop sono catapultata nel futuro. Si sta lavorando sui prodotti che, se tutto andrà bene, rivedrò solo tra un anno e mezzo nei negozi di tutto il mondo. Prima dovranno passare il severo controllo del Test Lab, il laboratorio dove tutti i nuovi prodotti Ikea vengono testati prima di essere messi in commercio. Uno staff di 37 persone esegue 60mila test all'anno: dall’analisi dei composti organici volatili ai test meccanici e funzionali su divani, materassi tavoli. Si testano i materiali e il loro comportamento in determinate condizioni, come per esempio i tessuti, che qui sono messi a dura prova, tra macchie, lavaggi ad alte temperature, esposizione ai raggi solari. Si lascia che le sigarette si consumino sui materassi per testarne l’infiammabilità e si prova la resistenza dei mobili destinati al mercato Orientale in camere ad alto tasso di umidità.
Nel Test Lab di Älmhult, come nell'analogo laboratorio di Shanghai, è sempre aperta la caccia all'errore. Proprio all'errore si dice che Kamprad avesse dedicato un premio, invitando i dipendenti a segnalare i più grossi. Una visione enunciata nel suo Testamento di un commerciante di mobili: «il timore di sbagliare è la base della burocrazia e il nemico di qualsiasi tipo di sviluppo». Il tempo e i numeri sembrano avergli dato ragione. Lo scorso anno, a 75 anni dalla fondazione, il gruppo Ikea ha registrato una crescita nelle vendite del 4 per cento con ricavi pari a 34,2 miliardi di euro. Questione di buonsenso: sbagliando s’impara.
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