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POLITICA MONETARIA

Bce: il Qe si dimezza a 15 miliardi da ottobre e termina a dicembre. Tassi fermi per almeno un anno

Mario Draghi  durante la conferenza stampa  a Riga (Afp)
Mario Draghi durante la conferenza stampa a Riga (Afp)

Fine del quantitative easing a dicembre. Tassi fermi almeno fino all’estate del 2019. La riunione di giugno della Banca centrale europea si è chiusa con l’annuncio di una nuova fase della politica monetaria. La Bce ha deciso infatti che da ottobre a dicembre gli acquisti di titoli passeranno a 15 miliardi al mese, dagli attuali 30, per poi azzerarsi, sia pure a condizione che i prossimi dati confermeranno le prospettive di inflazione.

La Bce non abbandona il mercato
La Bce resterà comunque attiva sul mercato: reinvestirà le somme ottenute con il rimborso dei titoli acquistati per un «esteso» periodo di tempo dopo la fine del quantitative easing e comunque per tutto il tempo in cui sarà necessario «mantenere favorevoli condizioni di liquidità e un elevato livello di accomodamento monetario».

Tassi fermi fino all’estate 2019
I tassi ufficiali sono stati confermati - 0% il tasso di riferimento, -0,40% quello sui depositi alla Bce, +0.25 quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale (marginal lending facility) - e resteranno fermi, spiega il comunicato pubblicato alla fine della riunione, «almeno fino all’estate del 2019 e comunque per tutto il tempo necessario ad assicurare che l’evoluzione dell’inflazione resti allineata con le attuali aspettative di una rotta sostenuta di aggiustamento» verso il 2%. La Bce ritiene il suo nuovo orientamento comunque espansivo (accomodante nel linguaggio della banca centrale). Le decisioni, ha spiegato il presidente Mario Draghi in conferenza stampa, sono state prese all’unanimità e sono state «ben preparate» nei giorni precedenti la riunione.

Volatilità solo «locale» sui BTp
Il comunicato ha sottolineato il «rischio una persistente elevata volatilità dei mercati finanziari»■ che richiede «un monitoraggio». In risposta a una domanda sull’Italia, Draghi ha però escluso l’esistenza di rischi di ridenominazione (ossia dell’uscita dall’euro) e di contagio, se non molto limitato, catalogando le turbolenze come «un fenomeno locale». Draghi ha invitato a non drammatizzare i cambiamenti politici in un singolo paese ma anche a usare un linguaggio compatibile con i Trattati. L’euro, ha aggiunto, è irreversibile «perché è forte e perché la gente la vuole» e non crea vantaggi a nessuno «discutere la sua esistenza»: «Crea solo danni».

Euro in calo sotto 1,17 dollari
Immediata la reazione dei mercati, che hanno ben accolto la decisione: dopo l’annuncio l’euro è scivolato rapidamente sotto quota 1,17 dollari, mentre le Borse europee sono tornate in territorio positivo. Lo spread dei BTp sui Bund si è rapidamente portato fino a 250 punti base, dai 236 della chiusura di mercoledì, per poi tornare indietro: il rendimento del decennale ha infatti rapidamente superato la soglia del 3% per poi riportarsi al 2,87% (dal 2,83% della chiusura precedente).

Inflazione verso il 2%...
La decisione della Bce è legata a una nuova valutazione, da parte del consiglio direttivo, delle prospettive di inflazione, i cui progressi «sono stati notevoli»: le aspettative di inflazione a lungo termine ben ancorate, la forza dell’economia e l’orientamento espansivo, anche tenuto conto della fine del quantitative easing, danno fiducia nella convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo del 2%. In conferenza stampa Draghi ha spiegato che il consiglio direttivo ha preso in considerazione diverse misure di aspettative di inflazione, ha valutato l’andamento delle proiezioni nel tempo, ha notato la scomparsa dei rischi “di coda” - i tail risks - di deflazione, il restringimento degli intervalli di confidenza e, infine, l’andamento dei salari, in moderata crescita.

...ma le proiezioni non vanno oltre l’1,7%
Le proiezioni della Bce ( e delle altre banche centrali di Eurolandia) indicano però un’inflazione media all’1,7% nel 2018, nel 2019 (in entrambi i casi corretto dall’1,4% di marzo) e nel 2020, un livello che in passato era stato giudicato «insoddisfacente» dallo stesso Draghi. L’inflazione core, nella misura preferita dalla Banca centrale (che esclude energia e alimentari) dovrebbe passare dall’1,1% di quest’anno - una conferma delle precedenti previsioni - all’1,6% del 2019 all’1,9% del 2020, con una marginale (+0,1 punti percentuali) correzione al rialzo rispetto alle proiezioni di marzo.

Crescita solida ma incertezze più elevate
La diagnosi della Bce sul futuro dell’infazione si basa anche su una positiva valutazione della crescita - più in particolare su «una forte economica con incertezze crescenti» - malgrado qualche timore espresso a maggio. Il consiglio direttivo pensa oggi che l’attuale rallentamento in qualche modo “riequilibri” la rapida crescita che era stata conseguita nei trimestri precedenti. Le proiezioni indicano un pil in crescita del 2,1% quest’anno, rivisto al ribasso dal 2,4% indicato a marzo, dell’1,9% nel 2019 e dell’1,7% nel 2020 e i rischi restano «bilanciati» anche se l’ondata di protezionismo - che non è stata presa in considerazione nell’elaborazione delle proiezioni - crea qualche preoccupazione in più. In definitiva, però, le prospettive di crescita sono coerenti, per la Bce, con il traguardo del 2%.

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