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Bce verso la fine del Qe: ecco cosa accadrà dopo. Guida alle mosse…

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OGGI la riunione del consiglio direttivo

Bce verso la fine del Qe: ecco cosa accadrà dopo. Guida alle mosse che oggi annuncerà Draghi

La fine del Qe non è la fine del mondo. Al contrario, la fine del quantitative easing è l'inizio del ritorno a un mondo (finanziario) più normale. Anche se non si tornerà più al mondo come era prima del crack Lehman, perché la regolamentazione delle banche e dei mercati finanziari è cambiata per ridurre i rischi nel sistema e proteggere soldi dei contribuenti.

Il Qe è uno strumento di politica monetaria non convenzionale: le banche centrali solitamente, in condizioni normali, tengono sotto controllo l'inflazione con il rialzo e il ribasso dei tassi d’interessi. La Bce ha avviato nel marzo 2015 il Qe per contrastare i timori di deflazione. E per accelerare l'uscita dalla grande crisi nell'Eurozona.

La fine del Qe non solo significa che la bestia nera della deflazione è stata sconfitta ma che la crescita dell'economia non ha più bisogno di un sostegno straordinario: il Qe infatti, attraverso l'acquisto dei titoli di Stato che sono un benchmark (il punto di riferimento del mercato), abbassa i rendimenti a medio-lungo termine, soprattutto dai 3 ai 30 anni e quindi riduce il costo del denaro anche su scadenze lunghe.

Il Qe è infatti abbinato al taglio dei tassi a breve (nel caso della Bce le deposit facilities cioè la remunerazione del parcheggio dei depositi overnight presso l'Eurosistema è scesa a quota -0,40% cioè ora bisogna pagare per parcheggiare liquidità presso l'Eurosistema). I tassi viaggiano ancora su minimi storici e anche dopo la fine del Qe resteranno molto bassi per un “prolungato periodo di tempo”, così indica la cosiddetta forward guidance della Bce. I mercati pretenderanno di avere dalla Bce le indicazioni più trasparenti possibili su dove andranno i tassi, dopo la fine del Qe, quando arriverà il primo rialzo e quanti rialzi verranno fatti all'anno.

La fine del Qe: in un solo colpo o graduale?
La Bce ha fatto capire che la fine del Qe, che viaggia adesso con acquisti netti di attività finanziarie (titoli di Stato prevalentemente ma anche obbligazioni societarie non bancarie, covered bond e cartolarizzazioni denominati in euro) da 30 miliardi al mese, non sarà dall'oggi al domani.
Per ora la Bce ha detto che il suo Qe arriva fino al 30 settembre: “acquisti netti di attività, all'attuale ritmo mensile di 30 miliardi di euro, sino alla fine di settembre 2018, o anche oltre se necessario, e in ogni caso finché il Consiglio direttivo non riscontrerà un aggiustamento durevole dell'evoluzione dei prezzi coerente con il proprio obiettivo di inflazione”, così recita la decisione di politica monetaria. Il mercato è ora in attesa di sapere come tutto questo finirà. È possibile che già oggi la Bce annunci – se tutto andrà bene sotto il profilo di inflazione, crescita e stabilità complessiva – che il Qe potrebbe finire il 31 dicembre, con un tapering (riduzione degli acquisti netti fino a zero) che potrebbe essere da 15 miliardi in ottobre, 10 in novembre e 5 in dicembre oppure 10-10-10.

Gli acquisti si dicono “netti” nel senso che aumentano le dimensioni del bilancio. Sono quindi aggiuntivi rispetto al reinvestimento del capitale rimborsato dei titoli che scadono nel portafoglio della Banca centrale.

Cosa accade ai Btp dopo la fine del Qe?
Bce/Banca d'Italia attraverso il Qe avranno acquistato tra il marzo 2015 e il dicembre 2018 titoli di Stato italiani per 356 miliardi, stando ai calcoli di IntesaSanPaolo. Questi titoli sono entrati nel bilancio della Banca centrale europea/Banca d'Italia e ci resteranno a lungo, anche se la Bce non ha ancora detto per quanto. Nelle decisioni di politica monetaria della Bce si legge: L'Eurosistema reinvestirà il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma di acquisto di attività per un prolungato periodo di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti di attività e in ogni caso finché sarà necessario. Ciò contribuirà sia a condizioni di liquidità favorevoli sia a un orientamento di politica monetaria adeguato. Se il Qe della Federal Reserve negli Usa è un esempio da copiare, allora la Bce potrebbe detenere questo stock di titoli di Stato italiani invariato nel suo bilancio (reinvestendo il capitale rimborsato dei titoli che scadono, che è molto elevato) per qualche anno. E comunque, nulla vieta alla Bce di mantenere il suo bilancio su valori molto gonfiati rispetto al periodo pre-crisi. Ora il bilancio della Bce è arrivato a quota 4.170 miliardi: il suo bilancio pre-crack Lehman orbitava attorno ai 1000 miliardi.

Ma il mondo post-Qe è sempre un mondo migliore per i Btp. Se la Bce dovesse decidere tra qualche anno di non reinvestire la metà dei titoli di Stato che scadono nel suo portafoglio, continuerebbe a detenere qualcosa come 175 miliardi di titoli di Stato italiani a medio-lungo termine, esclusi i BoT. La Bce per statuto non può detenere più del 33% del debito negoziabile di uno Stato emittente e di una singola emissione. Questo è un tetto fisso che difficilmente verrà cambiato.

Dopo la fine del Qe, cioè degli acquisti netti, il mercato dei Btp dovrà fare a meno di un grosso compratore, stabile, abitudinario e soprattutto disinteressato rispetto all'andamento dello spread: quando il Qe valeva 80 miliardi di acquisti mensili, la Bce/Banca d'Italia compravano tra i 9 e i 12 miliardi al mese di BTP, poi questa quota è scesa attorno ai 7 miliardi con il programma da 60 miliardi totali mensili e attualmente si aggira attorno ai 3,5 miliardi al mese sul totale dei 30 miliardi. Vale a dire che ora la Bce acquista attorno ai 200 milioni di euro al giorno, in media, di titoli di Stato italiani. E questo a prescindere dall'andamento dello spread e del rischio-Italia.

La Bce ha un'altra regola: non può acquistare nel Qe titoli di Stato di un Paese che non ha almeno un rating a livello d'investimento (minimo BBB-) di una delle quattro grandi agenzie di rating: S&P, Moody, Fitch e DBRS. E non può acquistare i titoli di Stato di un Paese che ha chiesto aiuto esterno e che non rispetta gli impegni della “condizionalità”.

La Bce ha comprato titoli di Stato dell'Eurozona dal marzo 2015 ripartendo gli acquisti tra i 19 Stati membri dell'euro (su una torta mensile che ha oscillato per tutte le attività tra 80, 60 e 30 miliardi al mese) in base a questo criterio: in termini di Pil e popolazione (la chiave capitale) e non per motivi di opportunità (un Paese conviene più di un altro), neppure per motivi di salvataggio (quel Paese ha bisogno di aiuto) e neanche con l'obiettivo di favorire un Paese piuttosto che un altro. La Bce non ha di certo comprato con il QE solo titoli di Stato sicuri per tralasciare quelli con un merito di credito peggiore, o viceversa. Il QE è servito a migliorare il funzionamento delle cinghie di trasmissione della politica monetaria per l'intera Eurozona: la una politica monetaria della Bce ha un solo mandato, quello di “un'inflazione a un tasso inferiore ma prossimo al 2% a medio termine”.

Cosa succede ai tassi di riferimento dopo la fine del Qe?
La Bce promette nella sua decisione di politica monetaria, con tassi di riferimento rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al -0,40%. Il Consiglio direttivo si attende che i tassi di interesse di riferimento della Bce si mantengano su livelli pari a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo e ben oltre l'orizzonte degli acquisti netti di attività. Dopo la fine degli acquisti netti del Qe, il mercato prevede che quel “ben oltre” significa almeno 6 mesi. Quindi se la fine del Qe avverrà il 31 dicembre 2018, il primo rialzo dei tassi (le deposit facilities a -0,40%) non dovrebbe avvenire prima del luglio 2019. C'è chi prevede che il tasso delle deposit facilities ci impiegherà almeno 6 mesi per arrivare a quota 0%. Se non di più: tutto dipenderà dall'inflazione e dalla crescita economica. E dalla stabilità dei mercati finanziari.

Nel mondo senza Qe restano le Omt
Finito il Qe, la Bce mantiene invariato il suo impegno del “whatever it takes”: può decidere di acquistare sul mercato secondario i titoli di Stato con vita residua tra 1 e 3 anni di un Paese che chiede aiuto al fondo salva-Stati MES perché teme di perdere accesso al mercato per rifinanziare il debito in scadenza. In cambio di questi acquisti della Bce sul secondario e del Mes sul primario in asta, lo Stato che chiede aiuto deve impegnarsi a ripristinare la sostenibilità del debito pubblico, mantenendo la disciplina sui conti pubblici, e ad implementare riforme strutturali di sostegno alla crescita. Se lo Stato non rispetta questi impegni, la Bce sospende le Omt.

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