Mondo

La città delle spie: così la battaglia per la Catalogna spacca…

  • Abbonati
  • Accedi
omaggio alla catalogna

La città delle spie: così la battaglia per la Catalogna spacca Barcellona

All'esterno di un edificio di pietra bianca, ai margini del Quartiere Gotico medievale di Barcellona, cinque giovani turisti francesi si godono l'assolato pomeriggio primaverile, sorseggiando vino e cercando di decidere se faccia abbastanza caldo per andare in spiaggia. Uno di loro vorrebbe visitare la basilica della Sagrada Família e mangiare tapas.

Un altro preferirebbe trovare un “coffe shop” e fumare un po' d'erba, per poi andare a prendere la tintarella. Chiacchierano delle varie possibilità in modo languido in una delle grandi capitali del turismo nel mondo. All'interno di quell'edificio, qualche piano più in alto, l'agente di polizia dell'intelligence catalana Jordi Cruz è alle prese con ben altri problemi. Cruz (nome di fantasia) si trova in quella medesima città, ma vive in un altro mondo. La sua è una Barcellona completamente diversa, terra di spie, territorio di fazioni politiche in guerra tra loro, di intercettazioni telefoniche e registrazioni segrete. Nel sottosuolo di quella Barcellona si sta combattendo una vera e propria guerra per il futuro della Spagna.

Per Cruz, la città è diventata più simile ai campi di battaglia di Vienna dove si scontravano le intelligence durante la Guerra fredda che a una metropoli europea del XXI secolo. Sotto la felpa scura con cappuccio, Cruz indossa una pistola nera massiccia infilata alla cintola dei jeans. È in quel palazzo per fare luce su uno scandalo di spie che rischia di mandare decine di catalani in prigione, dagli agenti della polizia ai politici. Di conseguenza, Cruz è nervoso. “I miei colleghi della polizia catalana potrebbero uccidermi per aver parlato con un giornalista, sul serio!” dice. “Non sono ben sicuro di quello che potrebbero farmi”. I suoi timori per una rappresaglia violenta arrivano nel bel mezzo di una profonda crisi politica e sociale che ha trasformato definitivamente la Catalogna, facendola passare da una delle aree più ricche e più cosmopolite d'Europa a una delle più turbolente.

Negli ultimi anni, milioni di catalani hanno deciso che vogliono che la loro regione sia indipendente dalla Spagna. Questo movimento – pur rappresentando meno della metà della popolazione catalana che conta 7,5 milioni di persone – ha preso il controllo del governo regionale, e lo sta usando per portare avanti la sua agenda radicale filo-indipendentista. Il movimento ha il pieno controllo delle forze di polizia e del sistema della pubblica istruzione.

(foto: Sebastian Bruno)

La campagna ha raggiunto il suo punto di massima ebollizione l'ottobre scorso, quando in seguito a un discusso e controverso referendum il governo regionale ha proclamato la sua indipendenza. Madrid ha preso provvedimenti d'emergenza, ha assunto il controllo diretto della regione semi-autonoma, ha mandato a casa il governo e ha indetto nuove elezioni. Ma, a dicembre, il risultato delle urne ha portato soltanto a un altro governo radicale filo-indipendentista, che questo mese ha preso il potere con Joaquim Torra. Oriol Bartomeus, illustre politologo dell'Università autonoma di Barcellona, ha detto: “In Spagna stiamo vivendo la più grave crisi costituzionale politica di sempre, quanto meno dai tempi della fine del regime di Franco”.

Cruz afferma che la realtà di quanto sta accadendo in Catalogna è di gran lunga più sconvolgente di quello che si legge sui giornali. Secondo quello che dichiara, è almeno dal 2014 che le forze di polizia della Catalogna – che erano sotto il controllo del governo regionale filo-indipendentista – sono impegnate in un'iniziativa fuori dal comune: costituire un proprio servizio segreto di intelligence in grado di tener testa a quello dello stato spagnolo. Oltre a ciò, aggiunge, questo nuovo servizio segreto ha preso l'abitudine di tenere d'occhio e spiare avvocati, politici, professori, giornalisti e gruppi della società civile che si ritiene possano essere contrari al processo indipendentista. “Stavano creando una sorta di servizio segreto di spionaggio catalano” dice Cruz, disposto a parlare perché convinto che la polizia dovrebbe far rispettare la legge e non lasciarsi coinvolgere dalla politica. È venuto a conoscenza del servizio segreto catalano grazie ad alcuni amici che ha al suo interno. “Questa unità, questo servizio segreto interno alla polizia, sta prendendo di mira coloro che hanno un'ideologia politica divergente da quella governativa…

È un po' come se il governo regionale scozzese volesse cercare di dar vita a un servizio segreto rivale dell'M15 (il servizio segreto interno di intelligence del Regno Unito), e stesse prendendo di mira determinate persone per la loro ideologia politica. È assurdo. È semplicemente inammissibile che una cosa del genere possa accadere”. La polizia catalana non ha voluto esprimersi in proposito. Il ministro degli interni della Catalogna ha detto di “non essere a conoscenza” di quanto sembra accadere dietro le quinte, e di non potersi esprimere in proposito in quanto le accuse sono oggetto di un'indagine giudiziaria che potrebbe finire con un vero e proprio procedimento legale in tribunale. Ma quelle di cui riferiamo non sono le affermazioni strampalate di un unico poliziotto: quattro agenti della polizia catalana intervistati dal Financial Times, insieme a personaggi in stretto contatto con i servizi d'intelligence spagnoli e con il governo spagnolo, affermano di ritenere che siano in corso vari tentativi finalizzati a costituire un'agenzia d'intelligence catalana in grado di portare avanti la causa: l'indipendenza dalla Spagna.

Lo scorso ottobre la polizia spagnola ha intercettato un furgone pieno zeppo di documenti della polizia catalana diretto a un inceneritore. La polizia catalana ha fatto sapere che si trattava di un'operazione di routine, ma fonti spagnole la pensano in modo diverso. In un rapporto della polizia spagnola che il FT ha potuto leggere, si conclude che dai documenti è dimostrato che la polizia catalana aveva un “dipartimento illegale di spionaggio” che eseguiva “mansioni di sorveglianza, monitoraggio e registrazione di conversazioni private, scattando fotografie di personaggi della sfera politica e del mondo del giornalismo, degli affari e della società che potrebbero rappresentare una minaccia al processo di conquista della sovranità”.

I presunti casi di spionaggio a Barcellona non sono limitati alle forze di polizia della Catalogna. Secondo una fonte a conoscenza dei fatti, i servizi d'intelligence spagnoli sono stati attivi nel perseguire i leader catalani che erano scappati all'estero. Quattro fonti diverse vicine alla polizia catalana hanno riferito che il servizio d'intelligence della polizia catalana è stato costituito in parte per contrastare quella che, sempre secondo fonti catalane, sarebbe una forza segreta interna alla polizia spagnola che da anni porta avanti un'agenda completamente contraria, finalizzata a mantenere la Catalogna parte integrante della Spagna. L'anno scorso un gruppo filo-indipendentista del parlamento catalano ha chiamato quella forza segreta “una divisione politica della polizia creata per danneggiare gli avversari politici”.

Questa è la storia della battaglia per la Catalogna, una regione nella quale l'ultimo conflitto di rilievo ad avere conquistato la ribalta internazionale avvenne durante la guerra civile spagnola. Questa, però, è anche la storia di Barcellona, una città che l'anno scorso ha accolto 14,5 milioni di turisti, e di come nel silenzio generale essa sia diventata il cuore di una battaglia moderna per il futuro della Spagna. Si tratta di una battaglia nella quale – a differenza dei precedenti conflitti per l'indipendenza, l'arma più importante è l'informazione, non la violenza, e i principali terreni di battaglia sono i ristoranti e i bar aperti fino a tarda notte che i turisti e i residenti locali adorano frequentare in ugual misura.

Per comprendere bene la situazione odierna di Barcellona, è indispensabile ripercorrere brevemente la storia della Catalogna. Questa regione, che originariamente faceva parte del regno medievale d'Aragona, è parte della Spagna dal XV secolo, ma molti catalani l'hanno sempre considerata una nazione a sé, con una sua storia, una sua lingua, una sua cultura. I tentativi dei catalani di ottenere l'indipendenza sono stati molteplici. Negli anni Settanta, dopo il ritorno della Spagna alla piena democrazia al termine del regime franchista, il desiderio di una piena indipendenza, tuttavia, si affievolì e dai sondaggi risulta che alla metà degli anni Duemila era un'idea appoggiata soltanto dal 15-20 per cento della popolazione.

Tutto ciò cambiò drasticamente dieci anni fa, durante la crisi finanziaria spagnola, quando il sostegno all'indipendenza iniziò bruscamente ad aumentare. Nel 2012, quando il Partito Popolare di centrodestra al governo in Spagna impose drastiche misure di austerità, quel sostegno arrivò al 50 per cento (oggi invece si colloca intorno al 40 per cento). Di conseguenza, il governo della Catalogna ha iniziato a esercitare pressioni per ottenere la piena indipendenza. Nel dicembre 2012, l'allora leader Artur Mas disse che la maggior parte dei catalani voleva “costruire un nuovo paese” ed era disposta a lottare per esso. “Oggi ci troviamo davanti pagine assai ispiranti della nostra storia…Il nostro dovere, la nostra responsabilità, è lasciare alle future generazioni un paese di cui possano andare orgogliose”.

(foto: Sebastian Bruno)

A Madrid questo proposito è stato accolto con un misto di rabbia, incredulità e paura. L'allora vice prima ministra Soraya Saénz de Santamaría si scagliò subito contro i separatisti, accusandoli di creare una “crisi” e un'“instabilità terribile” per la Spagna. In seguito, avrebbe anche aggiunto che la sfida lanciata del governo catalano era la “minaccia più grave” per la Spagna dai tempi del suo ritorno alla democrazia. Nella Costituzione spagnola del 1978 è scritto che il paese è “indivisibile” e di conseguenza perseguire l'indipendenza è anticostituzionale. Un eventuale successo dei separatisti implicherebbe per la Spagna non soltanto perdere una delle sue regioni più ricche – la Catalogna ha un'economia comparabile a quella dell'intero Portogallo –, ma anche la fine della sua amata Costituzione, redatta dopo la morte di Franco.

È in questo clima che lo spionaggio è diventato uno strumento assai diffuso, secondo chi è a conoscenza dei fatti. Per quanto riguarda i separatisti catalani, è stato il governo spagnolo a dare il via alla guerra delle spie. Già nel 2012 il ministro degli interni spagnolo lanciò un'operazione denominata “Operazione Catalogna”, secondo quanto ha appurato un'indagine del parlamento catalano l'anno scorso. I legislatori filo-indipendentisti hanno detto che l'operazione consisteva nella creazione di una task force nazionale segreta di agenti di polizia utilizzati per combattere una “guerra sporca” contro il processo indipendentista, nel tentativo di delegittimare l'intero movimento.

I separatisti ebbero conferma dell'esistenza di questo complotto negli articoli negativi riguardanti i loro leader pubblicati a intervalli regolari dalla stampa spagnola, che secondo avevano scavato e rivangato nella loro vita privata per poi lasciare trapelare notizie diffamatorie grazie a varie soffiate della polizia spagnola. Nel 2016, Oriol Junqueras, all'epoca vice leader della regione, disse che i complotti contro il movimento erano “ripugnanti” e aggiunse: “Sono sconcertato”. Al canale televisivo spagnolo LaSexta, Mas disse: “La chiavica di stato puzza”.

Molti, infine, hanno temuto che le loro peggiori paure fossero confermate quando il sito di informazione Público ha diffuso un'intercettazione segreta registrata nel 2016, dalla quale sembra che l'allora ministro degli interni spagnolo Jorge Fernández Díaz chieda al capo dell'ufficio antifrode della Catalogna informazioni utili a screditare i partiti filo-indipendentisti della regione. Díaz ha detto che la registrazione era decontestualizzata e ha negato di aver commesso qualcosa di scorretto. Francisco Marco, capo di una delle più note agenzie investigative private di tutta la Spagna, ha detto di aver lavorato per l'“Operazione Catalogna”. E ha addirittura scritto un libro su questo argomento. Mi ha raccontato che dal 2012 in Catalogna c'erano quasi una quarantina di poliziotti incaricati di portare a termine un'unica missione: “Indagare su chiunque fosse coinvolto con il movimento indipendentista e scavare fino a trovare qualsiasi cosa potesse infangarli ed essere usata contro di loro”. Dal suo ufficio di Barcellona, pieno di opere di arte moderna e di divani in pelle, il 46enne dice: “Pedinavano le persone, intercettavano le loro conversazioni a telefono… ed erano esenti da qualsiasi controllo giuridico su quello che stavano facendo”.

L’investigatore privato Francisco Marco (foto: Sebastian Bruno)

Il governo spagnolo ha smentito a lungo che esistesse l'“Operazione Catalogna” e nei tribunali non è mai stato dimostrato che sia stato commesso qualcosa di illegale. Alcune fonti vicine all'ex ministro degli interni spiegano che all'epoca la polizia spagnola stava perseguendo alcuni politici catalani per corruzione, ma a buon motivo. È stato reso noto, per esempio, che nel 2014 Jordi Pujol, che ha guidato la regione dal 1989 al 2003, custodiva svariati milioni di euro nei paradisi fiscali di oltreoceano. Pujol ha ammesso di aver tenuto nascoste ingenti somme di denaro in conti segreti di alcune banche straniere per un periodo superiore ai trent'anni.

Adesso, persone e fonti ben informate sulla situazione a Barcellona dicono che a prescindere dal fatto che l'“Operazione Catalogna” sia esistita o meno, la sola idea che abbia potuto esistere è diventata un fattore catalizzante. I separatisti credevano che esistesse un complotto segreto per scavare nelle loro vite alla ricerca di qualcosa con cui infangarli. Ed è in questo contesto, dicono quelle medesime fonti, che alcuni funzionari filo-indipendentisti decisero di doversi impegnare in una guerra sporca, senza esclusione di colpi, con la Spagna, e di aver bisogno di agenti dell'intelligence tutti loro. Alcuni giorni fa un parlamentare filo-indipendentista di Barcellona mi ha detto: “Cerca di capire: dobbiamo lottare contro quel mostro spaventoso che è la Spagna. E la Spagna è stata capace di ricorrere a ogni sporco trucco immaginabile per screditarci e umiliarci. E tu ti aspetti che non siamo disposti a reagire?”.

L'attivista anti-indipendentista Josep Ramon Bosch crede di essere una delle vittime civili innocenti di questa lotta dietro le quinte. È un uomo massiccio oltre la quarantina, porta i capelli sale e pepe tagliati corti e la barba molto curata. È cresciuto a Santpedor, una cittadina nel cuore filo-indipendentista della Catalogna. I suoi ottomila abitanti circa parlano catalano più che spagnolo e per tutti loro credere che “un giorno la Catalogna sarà libera dal giogo dell'oppressione spagnola e avrà un futuro glorioso”, dice.

Questo insegnante di storia, appartenente a una famiglia perlopiù filo-indipendentista, appartiene a quel gruppetto di persone della sua città che non soltanto ha appoggiato il Partito Popolare spagnolo – in genere apertamente detestato in tutta la Catalogna – ma si è anche espresso a favore dell'unità della Spagna. Sorseggiando un caffè mi dice: “Le mie opinioni politiche sono sempre state un po' in rotta di collisione con quelle del luogo dal quale provengo. Ma non ho mai pensato che potessero avere conseguenze così gravi… Non ho mai pensato che avrebbero fatto di me un bersaglio delle spie del mio stesso governo regionale”.

Intorno al 2012, quando il governo catalano decise di dare nuovo impulso alla lotta per la sua indipendenza, Bosch fece campagna contro di esso. Nel 2013 ha dato vita a un gruppo della società civile favorevole all'unità della Spagna denominato Somatemps. Al primo raduno, racconta, la polizia catalana – nota con il nome di Mossos d'Esquadra – effettuò un sopralluogo del piccolo ristorante nel quale dovevano ritrovarsi, prima ancora che il meeting avesse inizio. “Il proprietario mi disse che i Mossos erano andati a fargli visita e gli avevano chiesto di noi. In seguito, alcuni miei amici nella polizia locale mi hanno fatto sapere che quel giorno gli agenti erano appostati ovunque, durante il nostro incontro, e che all'esterno del locale scattarono fotografie a tutti noi. Mi sembrò tutto molto strano”.

All'epoca, non ci fece caso più di tanto. “Me ne dimenticai. Pensai che si potesse trattare di un incidente isolato. Non ho mai pensato che fosse vero che la polizia mi pedinasse”. Col passare degli anni, però, Bosch è diventato un personaggio di spicco della Societat Civil Catalana (SCC), un gruppo anti-indipendentista ben più grande, e iniziò ad avere la sensazione concreta di essere pedinato. “Alcuni agenti della polizia nazionale mi avvisarono che il mio telefono era sotto controllo e le mie comunicazioni intercettate” dice. Poi, nel 2015, un giorno i legislatori catalani filo-indipendentisti lo accusarono di essere in contatto con elementi dell'estrema destra, usando informazioni che Bosch sospetta provenissero dai Mossos.

Bosch smentisce categoricamente di avere avuto rapporti di questa natura, ma gli articoli di giornale critici nei suoi confronti si susseguirono e infine misero a repentaglio il suo lavoro e lo indussero a lasciare l'SCC. Se l'operato dei Mossos è tuttora poco chiaro, i sospetti di Bosch sono stati confermati l'anno scorso dal sequestro di un furgone pieno di documenti diretto a un incineratore fuori Barcellona. Secondo le dichiarazioni della polizia spagnola, i documenti hanno rivelato un gran numero di operazioni di sorveglianza condotte dalla polizia catalana. Incluse quelle contro Bosch. Alcune di quelle informazioni sono trapelate alla stampa locale e Bosch le ha lette e ha presentato un'istanza per una causa civile. “Quando ho letto quell'articolo, sono rimasto frastornato. Per me è assolutamente inammissibile che la polizia mi abbia pedinato. Sono un cittadino catalano. Pago le tasse. Sono un libero cittadino. È terribile essere preso di mira per motivi politici. È come il peggio del peggio di un'organizzazione stalinista”.

Bosch non è stato l'unico a cadere sotto i riflettori attenti delle autorità catalane, secondo quel medesimo rapporto della polizia che il Financial Times ha potuto leggere. Di tutti i documenti nei quali si descrivono le operazioni di sorveglianza dei Mossos nei confronti di comuni cittadini catalani, uno dei più dettagliati è quello che riguarda José María Fuster-Fabra, un illustre avvocato che si era fatto un nome difendendo le vittime dell'Eta, il gruppo terroristico basco, e così pure gli agenti della polizia catalana e le loro famiglie. Non è un cittadino molto impegnato in politica, se si esclude il fatto che nel suo tempo libero faceva campagna contro l'indipendenza.

L’avvocato anti-indipendenza José María Fuster-Fabra (foto: Sebastian Bruno)

Qualche particolare della sua vita, tuttavia, deve aver attirato l'attenzione del governo catalano. In un rapporto assai ricco di particolari si racconta in che modo, nello scorso giugno, Fuster-Fabra abbia pranzato nel ristorante PorSant nel pieno centro di Barcellona alle 13 in punto con “tre donne e un uomo”. Nel rapporto si legge che alle 13.55 ha lasciato il ristorante per dirigersi con un altro collega in un bar delle vicinanze, e alle 19.17 è uscito dal suo ufficio per incontrare un gruppo di politici al Gallery Hotel, e rientrare infine a casa sua alle 21.12.

Il sessantenne, dalla voce limpida e lo sguardo penetrante, dice di aver risentito parecchio del fatto di essere stato messo sotto sorveglianza, perché ha sempre pensato di essere in rapporti cordiali con la polizia catalana. “Ho trascorso anni e anni a difendere gli agenti della polizia” mi dice, indicando un tavolo del suo ufficio a Barcellona pieno di premi conferitigli in segno di gratitudine. Aggiunge anche con soddisfazione di aver rappresentato in tribunale la famiglia dell'unico agente dei Mossos ucciso dall'Eta. “Sono rimasto molto sconcertato dal fatto di essere messo sotto sorveglianza, senza sapere nemmeno perché. Tutto ciò a cui riesco a pensare è che ho fatto ufficialmente campagna a favore dell'unità della Spagna”.

Anche altre persone che sembrano essere state tenute sotto vigilanza continua appaiono fortemente turbate, e dicono che questo ha fatto vacillare profondamente la loro fiducia nella politica nazionale. Sergio Santamaría, ex parlamentare del Partito Popolare favorevole all'unità della Spagna, dice che era abituato a considerarsi un outsider politico quando viveva nella zona filo-indipendentista della Catalogna. “Per strada la gente ha iniziato a lanciarmi occhiatacce, poi a insultarmi. E infine è arrivata addirittura a minacciarmi… Ebbene sì, le cose qui vanno così”. Ma Santamaría, che ha promosso una causa civile contro la polizia catalana, dice che non “era preparato” a sentire quello che ha provato quando ha letto alcuni estratti del rapporto di polizia dai quali si deduce che contro di lui sono stati usati alcuni dispositivi precisi. “Pensavo di essere al sicuro, che tutta la mia vita lo fosse. Vivevo bene. Ero un politico. Pensavo di potermi esprimere liberamente. Quando invece ho scoperto che cosa era accaduto, mi sono sentito malissimo. Io credo nella democrazia e nei diritti umani. E questa è una palese violazione dei miei diritti”.

“Per i problemi della Catalogna non si intravede una fine e il gioco delle spie proseguirà fino a quando dureranno le tensioni”

 

I documenti della polizia catalana raccontano un'infinità di altre storie inconcepibili. Una riguarda una presunta talpa all'interno della polizia nazionale spagnola, disposta a passare informazioni riservate alla polizia catalana. Un'altra lascia intendere che la polizia catalana stesse tenendo d'occhio alcune unità delle forze dell'ordine spagnole in Catalogna. Dai documenti, infine, emerge che anche alcuni politici spagnoli nazionali di spicco, come Saénz de Santamaría, sarebbero stati pedinati in ogni loro spostamento. Molti documenti sono solo parziali, e forniscono uno spaccato interessante di un mondo segreto assai complesso. Persone informate dei fatti dicono di non sapere se l'unità di spionaggio sia ancora operativa. Altri affermano che è stata disgregata dopo che la Spagna nell'ottobre scorso ha assunto il pieno controllo dell'amministrazione della Catalogna. Resta tuttora poco chiaro se la polizia catalana o i politici locali ai quali essa risponde abbiano commesso o meno qualcosa di illegale.

In base alla legge spagnola, la sorveglianza attuata dalle agenzie delle forze dell'ordine è consentita a patto che vi siano buoni motivi, per esempio un pericolo per la sicurezza pubblica. Le prove raccolte dalla polizia spagnola sono state inviate al Tribunal Superior de Justicia de Cataluña, che nei prossimi mesi dovrà decidere se sporgere querela. Ma contro alcuni personaggi di spicco della polizia catalana – che avrebbero tacitamente sostenuto il processo di indipendenza a settembre e ottobre, malgrado un ordine del tribunale avesse ingiunto loro di sventarlo – è già in corso un'azione civile separata.

Nel 1936 e nel 1937, i primi anni della guerra civile spagnola, Barcellona fu un centro nevralgico di spionaggio, quando gruppi di comunisti e anarchici combatterono per il futuro della sinistra. La città divenne anche il terreno di scontro di alcune operazioni d'intelligence degli Alleati e dei paesi filo-Asse durante la Seconda guerra mondiale, e diventò un punto di arrivo e di transito per i prigionieri di guerra in fuga. Da allora, però, la città è sempre stata relativamente tranquilla. “Negli ultimi anni di Franco, e dopo la dittatura, il vero conflitto interno in Spagna è stato quello con i paesi baschi, e l'intelligence era impegnata contro il gruppo terroristico dell'Eta” dice Jimmy Burns, autore di “Papa Spy”, un libro sullo spionaggio spagnolo. “Barcellona non era al centro dell'attenzione”. Ma non è più così. Mentre l'Eta si è ormai disgregata, l'intera Catalogna è precipitata in agitazioni sociali e politiche. Milioni di persone che vi vivono restano tuttora accanite separatiste e non ci sono segnali dai quali si possa evincere che il conflitto – o lo spionaggio – stia scemando.

A marzo il servizio d'intelligence spagnolo CNI ha predisposto una squadra formata da una dozzina di persone che hanno seguito le tracce dell'ex leader della Catalogna Carles Puigdemont, sfuggito alla giustizia spagnola, pedinandolo in tutta Europa e assicurandosi che fosse arrestato in Germania. Poco prima che ciò accadesse, alla stampa sono arrivate tramite soffiate alcune frasi di Lluís Salvadó, un illustre politico catalano filo-indipendentista, nelle quali commentava il seno di una collega. Quando ha presentato le sue scuse, Lluís Salvadó ha anche deplorato che quella fosse “l'ennesima conversazione con amici e familiari” a essere stata intercettata e passata ai media per danneggiarlo.

All'inizio di questo mese, il socialista Pedro Sánchez è diventato il nuovo primo ministro spagnolo in seguito a un voto di sfiducia contro il governo precedente, nella scia di uno scandalo per corruzione. Sánchez ha detto che cercherà di allacciare e mantenere relazioni migliori tra Madrid e il governo catalano. Alcuni palesano ottimismo al riguardo. “Si presenta una buona occasione concreta per fare passi avanti sulla questione della Catalogna” ha detto Jordi Alberich, direttore del think tank Círculo de Economía di Barcellona. Altri, invece, sono molto meno ottimisti. “Per i problemi della Catalogna non si intravede una fine” ha detto Carlos Cuesta, un giornalista che cura il nuovo sito web di informazione OKdiario. “Il gioco delle spie in Catalogna proseguirà fino a quando dureranno le tensioni”. Cruz, l'agente dell'intelligence, prima di andarsene mi dice che le spie dell'unità speciale dei Mossos sono ancora in giro, mantengono un basso profilo e temono possibili cause legali nei loro confronti. Non sa che cosa abbiano in mente di fare quegli agenti, con la polizia catalana che adesso è sotto l'autorità del separatista dalla linea dura Joaquim Torra, ma teme che possano volerlo incontrare di persona, ora che si è confidato con me.

Fuori dobbiamo strizzare gli occhi per adeguarci all'intensa luce del sole e all'atmosfera vibrante che si respira. Siamo circondati da bar e locali che servono ai felici residenti del posto e ai turisti spuntini con birra, patatas bravas e pimientos de Padrón. Cruz guarda a destra e a sinistra in modo furtivo e mi dice: “Devo stare molto attento”.


Traduzione di Anna Bissanti
© 2018, The Financial Times

© Riproduzione riservata