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ONU AMMETTE RICORSO DEL LEADER INDIPENDENTISTA

Catalogna, dal sogno della secessione all’arresto di Puigdemont in Germania

Carles Puigdemont ha passato la scorsa notte nel carcere di Neumünster, in Germania, e oggi comparirà davanti al tribunale dello Schleswig-Holstein, nello stesso Land dove è stato fermato domenica dalla polizia tedesca (su segnalazione dei servizi segreti spagnoli) subito dopo aver attraversato la frontiera con la Danimarca, di ritorno verso il Belgio. Inizierà così il processo di estradizione voluto dalla Spagna contro il leader indipendentista catalano, fuggito a Bruxelles, ormai da cinque mesi, per non essere incarcerato a Barcellona, inseguito dalla pesante accusa di ribellione (anche se un punto a suo favore è venuto dalla commissione dei diritti umani dell'Onu, che ha dichiarato ricevibile il ricorso contro la lesione dei suoi diritti politici).

Puigdemont in patria rischia fino a trent’anni di reclusione per avere organizzato il referendum sull’indipendenza del primo ottobre e per avere dichiarato la secessione della Catalogna nel Parlamento regionale, contro le leggi dello Stato spagnolo. E, anche guardando a una vicenda giudiziaria che in Germania rischia di trascinarsi per settimane o addirittura mesi, il fronte indipendentista deve ora prendere una decisione cruciale: insistere sulla leadership di Puigdemont (e dei suoi fedelissimi) cercando di ritrovare compattezza o cercare una mediazione con Madrid per eleggere un nuovo presidente e riportare alla normalità la vita politica e istituzionale catalana.

Lottare o trattare: quale strategia seguirà il fronte indipendentista?
I partiti indipendentisti hanno la maggioranza nel Parlamento catalano, l’hanno riconquistata nelle elezioni regionali imposte dal governo spagnolo di Mariano Rajoy a fine dicembre quando già la Catalogna era stata commissariata, i suoi leader erano fuggiti e le istituzioni autonome catalane erano state azzerate. Le rivendicazioni per arrivare all’indipendenza sono l’unico elemento di coesione tra tre formazioni diversissime tra loro che quasi si odiano: i conservatori di JuntsxCatalunya (gli eredi di Jordi Pujol e di Artur Mas con Puigdemont alla testa), la Sinistra repubblicana (storico e irriducibile partito socialdemocratico e nazionalista) e la Cup (la Candidatura di unità popolare, schieramento anticapitalista di estrema sinistra). Ma da tempo il blocco secessionista si è spaccato: sul sostegno allo stesso Puigdemont, su come gestire lo scontro con Madrid, e pochi giorni fa quando la Cup ha fatto mancare i voti per eleggere alla presidenza della Generalitat, Jordi Turull, un fedelissimo di Puigdemont, poi incarcerato dalla Giustizia spagnola, in attesa del processo. La sfida indipendentista in Catalogna può contare su almeno un terzo della popolazione di 7,5 milioni della regione, che si sono tradotti in maggioranza alle urne, anche a causa della contrapposizione allo Stato centrale e alla campagna sul «diritto a decidere» che ha trovato sfogo nel referendum di ottobre ma che è stata soffocata da Madrid anche con l’intervento della forza contro i catalani in coda per votare ai seggi, certo in violazione delle leggi spagnole, ma in modo del tutto pacifico.
A giudicare dalle prime reazioni al fermo in Germania, la vicenda personale di Puigdemont, rischia di tenere ancora bloccata a lungo la politica catalana. Proprio la Cup, l’ala radicale del fronte indipendentista, ha proposto che Puigdemont venga rieletto a distanza presidente della Generalitat, nonostante la diffida della Corte costituzionale spagnola. E anche JuntsxCatalunya, ha detto che va ricercata una formula perchè Puigdemont diventi un presidente «non simbolico, ma reale».

Puigdemont, dal sogno- secessione alla fuga in Belgio
I nazionalisti catalani continuano a scontrarsi contro il muro compatto eretto dallo Stato spagnolo e dal governo Rajoy che, applicando per la prima volta nella storia democratica del Paese l’articolo 155 della costituzione, ha commissariato la Generalitat di Barcellona. Per la Costituzione spagnola infatti lo Stato è «indivisibile».
In Catalogna, una regione che vale il 20% del Pil nazionale, la contrapposizione a Madrid è sempre stata molto radicata nella popolazione: la storia, la cultura, le tradizioni, la lingua, hanno alimentato questo sentimento. La dittatura di Franco, fino al 1975, con la repressione violenta di tutti i simboli della Catalogna - anche la lingua catalana era vietata e chi la parlava poteva finire in carcere - ha dato ulteriore forza alle rivendicazioni della popolazione contro lo Stato centrale.
In Catalogna hanno sempre mal sopportato i limiti all’autonomia (pur notevoli rispetto ad esempio a quella che hanno le regioni italiane) dettati dalla Costituzione. I governi spagnoli - conservatori e socialisti - sono stati costretti a fare concessioni alla Generalitat per contenerne la deriva nazionalista. Nel 2010 questo difficile equilibrio è andato in crisi quando Madrid dopo un primao via libera ha di fatto bocciato - su ricorso dei conservatori di Rajoy - il nuovo Statuto regionale proposto da Barcellona quattro anni prima.
Lo stesso anno, con l’appoggio di gran parte dei partiti che ancora oggi compongono l’Assemblea regionale, sono iniziate le grandi proteste di piazza a favore dell’indipendenza al grido di «Catalogna-Nazione». Anche sfruttando la gravissima crisi economica, con la disoccupazione al 25%, e il conseguente crescente malcontento per l’austerity di Madrid, la Catalogna ha tentato la spallata con un referendum già nel 2014, fermandosi a un passo dallo scontro frontale con Rajoy. Lo stesso scontro poi invece cercato e trovato da Puigdemont, poi costretto a scappare all’estero.

Germania ed Europa sostengono la Spagna
«La Spagna è uno stato di diritto democratico. Il conflitto catalano si deve risolvere all’interno dell’ordinamento del diritto e della Costituzione spagnola», ha affermato il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert. «Qui si tratta di un procedimento che ha a che fare col diritto e Puigdemont è accusato in Spagna di reati», ha aggiunto. «Il senso del mandato di cattura europeo è che fondamentalmente le decisioni spettano alla giustizia» e tutto si basa «sulla fiducia fra i reciproci ordinamenti», ha detto ancora Seibert.
Ma è evidente che nelle prossime settimane il leader catalano, chiamando in causa la Germania e le leggi europee, potrebbe raggiungere l’obiettivo che ha perseguito, con poco successo, in questi mesi di autoesilio: «Porteremo la sfida della Catalogna in Europa. Nessuno - aveva detto il leader catalano scappando in Belgio - potrà fare finta di nulla di fronte alle nostre richieste democratiche».
L’Unione europea che ha sempre appoggiato Madrid nella difesa della legalità non cambia linea: «Non commentiamo gli ultimi sviluppi sulla vicenda Puigdemont e sulla Catalogna, la nostra posizione resta sempre la stessa», ha affermato un portavoce della Commissione Ue.

La difesa di Barcellona e di Puigdemont
E mentre in tutta la Catalogna continuano le proteste di piazza contro l’esecuzione del mandato europeo che ha portato in carcere Puigdemont, il presidente del Parlamento catalano, Roger Torrent, ha denunciato «l’attacco al cuore della democrazia» e «l’involuzione democratica senza precedenti» voluta e perseguita dallo Stato spagnolo. «L’ora è grave, la sua eccezionalità è evidente», ha aggiunto Torrent accusando Madrid di volere fare della Catalogna «un laboratorio contro la dissidenza», mettendo cosi a rischio «le fondamenta della costruzione europea».
L’avvocato di Puigdemont, Jaume Alons Cuevillas, ha detto di prevedere che l’ex presidente catalano resterà in Germania «due o tre mesi», precisando che per il momento non è previsto che Puigdemont chieda asilo politico in Germania ma che «è un’eventualità che verrà studiata se sarà il caso».

L’indipendenza e l’economia
A subire i danni economici dello scontro con Madrid è stata a ben vedere solo la Catalogna. La fuga di oltre 3mila imprese, che hanno scelto di trasferire la loro sede legale fuori dai confini dalla regione, e l’impatto sul turismo sono ancora da valutare ma è un fatto che il Pil calano nonostante una crescita superiore al 2% subirà, in valore assoluto, il sorpasso storico da parte della regione di Madrid. La Spagna ha invece incassato l’upgrade di Standard&Poor’s con il rating salito ad A- da BBB+. «Gli spread per il debito spagnolo si ridurranno ulteriormente, non credo che le notizie sulla Catalogna avranno qualche impatto sui mercati», dice Sebastian Fellechner, analista di Dz Bank. Secondo Oriol Bartomeus, politologo e professore di Scienze politiche all’Università autonoma di Barcellona, il momento dell’indipendenza è passato e gli indipendentisti dovranno riorganizzarsi: «I leader catalani avevano puntato su due elementi per sfondare il muro di Rajoy: il sostegno dei poteri economici catalani e il riconoscimento almeno parziale da parte della comunità internazionale. Ma hanno sbagliato i calcoli e sono rimasti soli a combattere la loro battaglia, senza armi».

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