NEW YORK - Steven Mnuchin contro Peter Navarro. Nella grande guerra di Donald Trump contro la Cina c’è anche una battaglia tutta intestina, tra due dei suoi confidenti, dei più potenti esponenti rimasti nella cerchia del presidente.
Una spaccatura che semina confusione accanto alle tensioni già generate dalla spirale di dazi, sanzioni e rappresaglie. Tra un Segretario al Tesoro (Mnuchin) che cerca vie più moderate negli approcci con partner e avversari e un guru del commercio, Navarro, che è invece il leader dei falchi del populismo e di tutti gli altri “ismi” che lo declinano sul fronte dell'interscambio - unilaterismo, nazionalismo, protezionismo.
Nella fattispecie in gioco sono i dettagli del nuovo piano che l’amministrazione si appresta a svelare entro fine settimana sulle barriere agli investimenti cinesi e al transfer di tecnologia considerata “significativa” sotto il profilo industriale. Negli ultimi due giorni lo scontro interno è venuto alla luce a colpi di dichiarazioni contrastanti. Mnuchin si è affidato a tweet per indicare che una strategia anti-cinese è “fake news”, notizie finte. Che l’amministrazione non prenderà di mira per nome esplicitamente Pechino ma avrà come obiettivo più in generale paesi responsabili di “furti” - o tentati tali - di hi-tech. Mnuchin è stato spalleggiato in questa interpretazione dalla portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, che durante i briefing ha ripetuto il messaggio del Segretario al Tesoro.
Non è vero, ha però assicurato nelle stesse ore Navarro, che alla guerra alla Cina ha dedicato il suo più noto contributo accademico ai rapporti commerciali. La Cina è e sarà l'obiettivo delle nuove restrizioni, ha detto in interviste televisive. «Non ci sono progetti per imporre simili limiti ad altri Paesi», ha detto. «Abbiamo un problema con la Cina», ha continuato affermando che il Presidente lo ha messo in chiaro.
Il piano del Tesoro Usa
Trump ha formalmente dato tempo fino al 30 giugno al Tesoro per sviluppare i provvedimenti. Ad oggi secondo le indiscrezioni sarebbero composti di due “capitoli”, uno che vieta acquisizioni di aziende in settori delicati da parte di entità con una quota di proprietà in mano a Pechino pari al 25% o forse al 20 per cento. Stop alle acquisizioni sarebbero possibili anche usando altri criteri di influenza cinese eccessiva, per misurare quanto le operazioni siano compromettenti per la tecnologia americana: da accordi di licensing a poltrone nei consigli di amministrazione. Un secondo capitolo rafforza i controlli sulle esportazioni quando di tratta di simili tecnologie, in particolari le dieci legate al piano cinese Made in China per lo sviluppo futuro del Paese quale potenza hi-tech.
Mnuchin, al contrario di Navarro, sarebbe in particolare preoccupato dallo sviluppo di un intero, eccessivo e parallelo sistema di “filtro” degli investimenti accanto al Cfius, lo speciale Comitato (Committee on Foreign Investment in the US) che oggi semina e approva la transazioni considerandone le implicazioni per la sicurezza nazionale. Da maggio in avanti la posizione del ministro è stata però messa in ombra dai piu aggressivi guerrieri del commercio, accanto a Navarro il rappresentante commerciale Robert Lighthizer. Proprio Lighthizer si era allora scontrato apertamente con Mnuchin: il ministro aveva di fatto dichiarato una tregua con Pechino, citando negoziati in corso, solo per essere subito smentito dal secondo.
E Trump poco dopo aveva fatto scattare le prime sanzioni su 50 miliardi di import cinesi, seguiti da minacce complessive di colpire fino a 450 miliardi di importazioni, quasi tutto il flusso di merci cinesi verso gli Stati Uniti. Scattò anche il conto alla rovescia verso le strette sugli investimenti, ancora una volta giustificato con argomentazioni e norme di sicurezza nazionale: l'amministrazione ha sfoderato lo Emergency Economic Powers Act del 1977, che dà al presidente poteri straordinari al cospetto di «insolite e straordinarie minacce». Un esempio: fu usato dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 per far scattare sanzioni contro Paesi ritenuti correponsabili.
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