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In Libia è guerra del petrolio tra Tripoli e il generale Haftar

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stabilizzazione a rischio

In Libia è guerra del petrolio tra Tripoli e il generale Haftar

Milizie libiche schierate contro il generale Haftar esultano dopo aver conquistato il terminal petrolifero di Ras Lanuf, nell’Est del Paese
Milizie libiche schierate contro il generale Haftar esultano dopo aver conquistato il terminal petrolifero di Ras Lanuf, nell’Est del Paese

Sono molto contraddittori finora i segnali che arrivano sul fronte della politica europea dei migranti alla vigilia del Consiglio europeo di domani. Mentre il governo di Malta attende di far attraccare alla Valletta la nave della Ong Lifeline con 230 migranti a bordo dopo che tutti e sei i Paesi che si sono impegnati ad accogliere parte dei migranti avranno formalizzato la loro offerta, notizie preoccupanti arrivano dalla Libia. La stabilizzazione del Paese, premessa indispensabile per un’efficace politica di cooperazione nell’assistenza ai migranti che raggiungono la Libia dall’Africa subsahariana, è sempre più a rischio dopo che il generale Kalifa Haftar, che controlla la Cirenaica, ha preso di fatto il controllo dei terminal petroliferi dell’Est. L’obiettivo è di mettere le mani, attraverso la Noc di Bengasi, su circa 400 mila barili di produzione giornaliera, vendere il petrolio direttamente e finanziare in questo modo le sue milizie. Un primo significativo passo verso la divisione del Paese che si rifletterà inevitabilmente nei rapporti con l’Occidente imprimendo nuove direttrici di marcia anche alle politiche di cooperazione sul fronte migratorio.

Nel Mediterraneo si sta intanto dando attuazione alla linea italiana che punta a non applicare più il regolamento di Dublino per i salvataggi in mare nelle aree Sar (Search and Rescue) e a considerare di comune responsabilità europea la frontiera marittima Sud di Schengen. Un precedente importante al riguardo è la decisione del premier di Malta Joseph Muscat di far attraccare la Lifeline alla Valletta ma a patto che almeno altri sei Paesi europei si offrano di accogliere parti dei migranti a bordo. Finora sono quattro i Paesi che hanno aderito (Italia, Malta, Francia e Portogallo) mentre altri tre Paesi (Germania, Paesi Bassi e Spagna) stanno ancora “valutando” il caso. Vanessa Frazier, ambasciatore di Malta in Italia, ha reso noto che «nel caso in cui la nave entri nei porti maltesi verranno effettuate indagini e intraprese possibili azioni nei confronti della Lifeline che ha ignorato le istruzioni impartite dalle autorità italiane, in conformità alle norme internazionali, determinando questa situazione».

La soluzione della vicenda è anche il frutto di un’iniziativa diplomatica intrapresa dal premier italiano Giuseppe Conte d’intesa con il presidente francese Emmauel Macron così come di una regia europea che ha visto coinvolti gli uffici del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker e del presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk.

Ma tutti gli occhi sono ora puntati su cosa accadrà in Libia dopo la decisione del generale Haftar di controllare i terminal petroliferi dell’Est del Paese, azione che Tripoli giudica illegale. Se l’operazione andrà avanti, valutano gli osservatori internazionali, si potrebbe diffondere incertezza e paura tra gli acquirenti di greggio libico che normalmente fanno riferimento alla Noc di Tripoli per tutti i terminal petroliferi del Paese. Il rischio è che sottraendo il controvalore di 400 mila barili al giorno si ridurrebbero di circa il 40% le entrate del bilancio statale condannando quindi il governo Tripoli alla sicura bancarotta e all’inevitabile divisione del Paese tra Tripolitania e Cirenaica. La crescita economica che si stava registrando, dopo quattro anni di recessione grazie alla ripresa della produzione di idrocarburi, non ha tuttavia modificato la grande vulnerabilità dell’economia libica caratterizzata da un’instabile bilancia dei pagamenti, dall’alta inflazione, dall’aumento delle spese di bilancio e del debito interno, da servizi pubblici di base inefficienti, da scarsità di cibo e di materie prime e dall’aumento dei prezzi. Una situazione preoccupante, secondo fonti del Governo italiano, che pur non coinvolgendo le attività Eni nel Fezzan con contratti che arrivano al 2046 rischia di creare nuova instabilità e dividere gli interlocutori occidentali di Tripoli e Bengasi.

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