Che succede in Turchia dove il voto ha dato stabilità politica ma i mercati restano in fibrillazione? Nella capitale, Ankara, che sta esplorando politiche di “autoritarismo liberale”, Berat Albayrak, il nuovo ministro delle Finanze nonché genero del presidente Erdogan, ha promesso fresco di nomina di fare tutto ciò che i mercati richiedono per sostenere il paese sul Bosforo. I mercati non credono che Recep Tayyip Erdogan abbia imparato la lezione. Possibile? L'agenzia di rating Moody's, in una nota fresca di stampa, avverte che è in gioco l'indipendenza della banca centrale.
I mercati stanno a guardare. La promessa del genero del presidente di portare l'inflazione a una cifra dipende dall'aumento dei tassi. Erdogan però, da ex calciatore è andato in contropiede quando ha ribadito che i tassi diminuiranno. In realtà sono stati aumentati di 500 punti base dalla fine di aprile per cercare di sostenere la valuta. Erdogan dopo essere stato rieletto il 24 giugno con maggiori poteri presidenziali non sembra accettare la logica del mercato e parla spesso di complotti della grande finanza e delle agenzie di rating.
Il presidente turco filo-islamico pensa che la sua nuova amministrazione possa abbassare i tassi di interesse, ridurre l'inflazione e rafforzare nel contempo la lira. Come, però, resta un mistero. Il rendimento a 10 anni (al 18,85%) e la lira (a 4,96 dollari) ha raggiunto nuovi record dopo le affermazioni di Erdogan. La prossima riunione della banca centrale, prevista il 24 luglio, sarà la prova della verità. Sarebbero necessari altri 100 punti base di rialzo dei tassi per calmare i mercati. È improbabile che il 15,4% dell'inflazione di giugno sia arrivata alla fine della corsa in quanto la debolezza della valuta e l'aumento dei prezzi del petrolio faranno ancora salire i prezzi.
Come se non bastasse a preoccupare ulteriormente i mercati è stata l'affermazione sibillina di Erdogan secondo cui le banche private dovrebbero condividere l'onere. In che senso? È difficile determinare con esattezza cosa significhi, ma le azioni bancarie hanno perso terreno.
Il suo intervento sulle banche solleva, secondo Marcus Ashworth di Bloomberg, lo spettro dei controlli sui capitali, un concetto pericoloso per un paese con un disavanzo delle partite correnti del 6% del Pil che dipende fortemente dai finanziamenti esteri. A partire dal 6 luglio, c'erano 162,75 miliardi di dollari di depositi in valuta estera nel sistema bancario turco.
Se queste potessero essere detenute solo in lire turche, ciò avrebbe un impatto devastante sulla fiducia nel sistema bancario. Nessun creditore straniero rinnoverà il credito in un paese in cui è evidente il rischio che possa essere impossibile recuperare l'investimento.
La fuga dei depositi è difficile da fermare una volta che si avvia. Un esempio recente è la Grecia del primo periodo antagonista alla troika di Alexis Tsipras con Yanis Varoufakis alle Finanze nel luglio 2015, quando i timori sui controlli sui capitali videro un esodo di massa di depositi dalle banche elleniche che deve ancora essere recuperato. Erdogan potrebbe credere di avere l'ultima parola anche sulle politiche monetarie, ma non sta governando un'economia chiusa ricca di risorse naturali. Al contrario la Turchia è un hub energetico e manifatturiero e dipende dai mercati esteri. È un'economia aperta e dinamica: proprio per questo è in vista sul Bosforo un'altra lezione dai mercati.
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