Ieri la Commissione europea ha inflitto a Google una multa destinata a far rumore: 4,3 miliardi di dollari, come sanzione per l’abuso di posizione dominante esercitato dal suo sistema mobile Android. Se si sommano i 2,4 miliardi di euro chiesti sempre a Big G nel 2017 (per aver favorito il suo sistema di comparazione prezzi, Shopping) diventano 6,7 miliardi nell’arco di meno di due anni. Google si può consolare, perché il suo caso è tutt’altro che isolato: sotto la lente della Commissione sono finite, in periodi diversi, multinazionali come Microsoft, Intel e Facebook, colpite da sanzioni nell’ordine di milioni (o miliardi) di euro. Ma che fine fanno le risorse raccolte con le sanzioni di Bruxelles?
La risposta arriva dalla stessa Unione europea: i soldi pagati dalle aziende che violano le leggi europee sulla concorrenza finiscono nelle casse del budget comunitario, l’insieme di risorse che tiene in piedi i progetti della Ue lungo il suo Quadro finanziario pluriennale. Vale a dire la “traccia” che stabilisce la distribuzione delle spese per un periodo di sette anni, fissando i massimali delle uscite e agevolando l’adozione annuale del bilancio Ue.
Quel 2% (o meno) in arrivo dalle multe
Facciamo un passo indietro. Il budget Ue, fissato per il periodo 2021-2027 a oltre un trilione di euro, è finanziato al 98 per cento da «risorse proprie» e per il resto da «altre risorse». Le risorse proprio arrivano da tre fonti: i dazi doganali raccolti dai Paesi (che possono incassarne una quota del 20%), risorse prelevate dalla raccolta Iva (con una riscossione pari allo 0,30% del totale) e le risorse proprie tradizionali, basate sul reddito nazionale lordo (attraverso un’aliquota standard).
Il 2 per cento che resta al di fuori, le cosiddette altre entrate, si divide invece fra altre tre fonti: tasse sugli stipendi del personale della Ue, contributi in arrivo da Paesi extraeuropei e, appunto, le sanzioni imposte alle aziende quando violano le regole di commercio e concorrenza disciplinate dal diritto europeo. In generale, le sanzioni della Commissione vengono imposte con l’obiettivo di “punire e dissuadere”, parametrando l’entità della multa a seconda di durata della violazione, gravità dell'illecito e giro d'affari del soggetto interessato.
GUARDA IL VIDEO / La precedente multa da 2,4 miliardi a Google
Non è facile ottenere uno scomputo del loro peso sul budget complessivo, ma si può approssimare che le entrate da sanzione incidano su meno dell’1 per cento del bilancio della Ue. In proporzione si parla di noccioline, ma quando si guarda ai valori assoluti la prospettiva cambia.
Da Microsoft a Daimler, le super-multe di Bruxelles
Per limitarsi ai casi di cartello, gli accordi monopolistici fra imprese, la Commissione europea ha imposto fra 2014 e 2018 multe per oltre 8,5 miliardi di euro. Andando a ritroso fino al 1990, ovviamente in valori normalizzati, si sale oltre i 28 miliardi di euro. La lista dei casi è lunga e non riguarda “solo” le accuse di monopolio. Prima di Google, le sanzioni dell’antitrust hanno interessato una lunga serie di concorrenti. In ordine cronologico: 151 milioni di euro alla spagnola Telefonica nel 2007 per aver fissato prezzi «poco equi» sul suo mercato domestico; doppia multa a Microsoft da 899 milioni (2008) e 561 milioni (2013) per abuso di posizione dominante sui browser; oltre un miliardo di euro a Intel nel 2009 , sempre per abuso di posizione dominante nel suo business dei processori; 110 milioni di euro nel 2017 a Facebook, l’impero social di Mark Zuckerberg, per aver fornito informazioni «depistanti» sulla sua acquisizione del servizio di messaggistica Whatsapp nel 2014; 997 milioni a Qualcomm nel 2018 per abuso di posizione dominante. Ancora Facebook, pochi mesi fa, ha scatenato le indagini della Commissione per il coinvolgimento di cittadini europei nel datagate. Ma per quello, finora, non sono scattate sanzioni.
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