L'Europa torna a intimorire i colossi tech. Secondo rumor rilanciati la settimana scorsa dal Wall Street Journal, la commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager sta per infliggere a Google una sanzione record per l'abuso di posizione dominante (monopolio) esercitato per mezzo del suo sistema operativo Android. La multa, stando alle fonti citate dai media internazionali, supererebbe quella da 2,4 miliardi di euro già comminata nel 2017 all'azienda per aver favorito la visibilità del suo sistema di comparazione prezzi domestico (Google Shopping) rispetto ai rivali.
In questo caso, come già scritto dal Sole 24 Ore, il «timore» della Commissione è che Google approfitti di Android per consolidare il suo dominio nel mercato della pubblicità online, obbligando i produttori ad installare servizi come Google Search e Google Chrome o distribuendo incentivi economici a chi si mantiene fedele a Big G. Al di là dell'impatto finanziario, la maximulta costringerebbe Alphabet - la holding che controlla Google - a rivedere un modello di business che le ha consentito di far proliferare i suoi prodotti sugli smartphone di tutto il mondo, aumentando la quota di entrate mobile su un fatturato che viaggia sui 31 miliardi di dollari a trimestre.
Qual è il problema con Android?
Android è il sistema operativo di Google per dispositivi mobile, smartphone e tablet. Si tratta di una piattaforma open source, a «sorgente aperta», nel senso che qualsiasi sviluppatore può basarsi sui sui codici per svilupparne una versione autonoma (le cosiddette Android Fork). La sua quota di mercato nel primo trimestre 2018 si aggirava sull'86% del totale, per salire oltre al 90% nel caso dell'Europa. Il sistema è utilizzato anche in device di fascia media ed economica, spalancandogli le porte di un grande pubblico toccato solo in parte dalla concorrenza diretta.
Le investigazioni condotte da Vestager accusano Google di essersi servita di Android come «cavallo di Troia» per imporre i suoi prodotti di ricerca sui dispositivi mobile, monopolizzando gli introiti delle pubblicità che scorrono sui nostri smartphone. Come? L'indagine, avviata nel 2016, ha stabilito almeno tre problemi di violazione delle leggi sull'antitrust europeo: a) in cambio della licenza di Google Play (il negozio virtuale di app di Big G), Google impone ai produttori che usano Android di preinstallare il motore di ricerca Google Search o il browser Google's Chrome, b) sempre in cambio del diritto di uso delle proprie app, Big G impedisce ai produttori di utilizzare le versioni di Android derivate da quella originale, facendo firmare un accordo chiamato «Patto anti-frammentazione» c) Google fornisce incentivi finanziari per convincere i produttori a installare Google Search.
Cosa cambierà con la multa
L'azienda avrà una finestra di 90 giorni per offrire soluzioni che soddisfino i rilievi dell'antitrust, adeguandosi alla stretta imposta da Bruxelles. Tutto lascia intendere che Google sarà costretta a modificare i contratti proposti (o imposti) alle aziende che adottano Android, limando quegli elementi che hanno fatto drizzare le antenne all'antitrust comunitario. Una modifica alle policy equivarrebbe a rendere davvero aperto il sistema Android, anche se al costo - potenziale - di incrinare la supremazia delle sue app sugli smartphone di tutto il mondo. Raggiunte dal Sole 24 Ore, né la Commissione europea né Google hanno voluto commentare l'indagine, aspettando il verdetto in arrivo da Bruxelles prima di sbilanciarsi.
La Commissione ha ragione? Perché sì...
La sanzione a Big G potrebbe riaprire qualche spiraglio nella competizione fra sistemi operativi. Google si è sempre difesa spiegando che Android è gratis e non impedisce agli utenti di installare prodotti della concorrenza: se un cliente si trova meglio con il sistema di ricerca Mozilla Firefox - per dirne uno - è libero di effettuare il download senza restrizioni. La controrisposta del caso è che pochi utenti sono inclini a cambiare prodotti quando trovano già tutto quello che gli serve sulla schermata della home, a maggior ragione se i servizi in questione sono marchi di fabbrica come lo stesso Chrome. Impedirne la preinstallazione darebbe fiato al mercato, spezzando la “dipendenza psicologica” che si genera negli utenti verso determinati prodotti.
...e perché no
All'estremo opposto, i critici della Commissione fanno notare che il «sistema Android» ha permesso una sorta di democratizzazione degli smartphone. L'assenza di costi di sviluppo ha consentito di abbassare il prezzo dei dispositivi fino a cifre impensabili per aziende che sviluppano da sole i propri software, come nel caso di Apple: se l'iPhone ha costruito la sua fama anche sul prezzo, si possono trovare dispositivi Android anche sotto a 200 o addirittura 100 euro. Al tempo stesso, c'è chi fa notare che i prodotti Google sopravvivrebbero comunque all'intervento della Commissione: preinstallate o no, app come Google Maps e YouTube sono troppe radicate nell'uso collettivo per farsi dimenticare dagli utenti nell'immediato . «Quanti di noi usano già Gmail, Google Maps o YouTube? - si domanda Vincenzo Tiani, esperto di politiche europee legate al digitale - Gli utenti li cercherebbero comunque».
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