Mondo

Trump sanziona i ministri di Erdogan. Lira turca ai minimi

  • Abbonati
  • Accedi
PER L’ARRESTO DI UN PASTORE EVANGELICO

Trump sanziona i ministri di Erdogan. Lira turca ai minimi

È braccio di ferro sulle acque agitate del Bosforo tra Recep Taiyyp Erdogan e Donald Trump. Il presidente turco ha deciso di sfidare contemporaneamente sia Trump, che chiede un atto di clemenza per un pastore americano imprigionato dai turchi, che i mercati, sempre più guardinghi sulla autonomia della banca centrale turca e sulla reale volontà di combattere l’inflazione.

Erdogan vuole in galera il suo rivale Fetullah Gulen, un predicatore islamico auto-esiliatosi in Pennsylvania, perché lo ritiene l'organizzatore del golpe di luglio 2016 ma Washington non può cedere e quindi ha alzato la posta facendo scattare le sanzioni.

GUARDA IL VIDEO / Lira turca in picchiata, Erdogan trema

In questa situazione sempre più convulsa la lira turca ha toccato il minimo storico mentre gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a due ministri turchi per la detenzione del pastore americano che sta diventando un casus belli tra due alleati Nato. Washington ha messo in campo le stesse armi che ha usato contro gli oligarchi russi. Un segnale inquietante per Ankara.

Le sanzioni riguardano il ministro della Giustizia turco Abdulhamit Gul e il ministro dell’Interno Suleyman Soylu, entrambi «protagonisti delle organizzazioni responsabili dell’arresto e della detenzione del pastore Andrew Brunson», ha riportato in una nota il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. La valuta turca è crollata toccando quota 5,06 contro il dollaro, dopo che fonti americane hanno detto che gli Stati Uniti hanno preparato un elenco di società e individui turchi nel caso decidesse di imporre sanzioni al governo di Recep Tayyip Erdogan.

La Turchia è molto esposta ai cambiamenti nel clima di fiducia degli investitori, dato il suo ampio fabbisogno di finanziamento esterno. Qualsiasi rallentamento dei flussi di capitale innescato da una tale mossa potrebbe pesare sulla valuta e sulle obbligazioni. «È chiaramente un periodo molto difficile per l’economia turca», ha detto Timothy Ash, uno stratega del BlueBay Asset Management di Londra. «Il tempismo non poteva essere peggiore».

La Borsa di Istanbul oggi è in flessione di oltre il 2% mentre la lira è ulteriormente calata di circa l'1,5% e ora occorrono 5,06 lire per un dollaro americano, nuovo minimo storico. La valuta turca ha perso più di un quinto del proprio valore quest'anno contro il dollaro, creando problemi alle società nel rimborsare prestiti in valuta estera, alimentando inflazione a due cifre e mettendosi contro i detentori di debito in valuta locale che hanno subito una perdita di oltre il 30% quest'anno , la maggiore dopo l'Argentina tra i mercati emergenti, secondo gli indici Bloomberg Barclays. La rottura del livello di 5 lire turche per un dollaro probabilmente estenderà le vendite di chi non vuole rischiare di restare scottato.

Troppi fronti aperti
I problemi non vengono mai soli. La banca centrale turca ha eseguito gli ordini del presidente Erdogan mantenendo recentemente invariati i tassi di interesse, sfidando le aspettative del mercato che scommettevano in una politica monetaria restrittiva per frenare l'inflazione.

Nella sua prima decisione di politica monetaria, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha sbalordito gli investitori e convinto facilmente suo genero, il nuovo ministro delle Finanze turco, a non modificare i livelli dei tassi. La Borsa di Istanbul e la lira sono andati entrambi a picco. Berat Albayrak, 40 anni, è stato appena nominato ministro delle Finanze ma non sembra aver capito l’allarme che giunge dai mercati. L'ex ministro dell'Energia ha sostenuto le opinioni economiche non ortodosse di suo suocero, in particolare il fatto che secondo Erdogan una politica monetaria accomodante porti a un'inflazione più bassa.

A spaventare gli investitori è la messa in discussione dell'indipendenza della banca centrale, punto nevralgico per qualsiasi fondo straniero che punta sui mercati emergenti e non vuole scottarsi le dita.

Erdogan, al potere dal novembre 2002, ha iniziato un nuovo mandato di cinque anni questo mese dopo aver vinto un'elezione presidenziale che lo rende il più potente uomo politico del Paese dai tempi di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna. Ma crede di piegare l'economia ai suoi desideri.

Il leader turco, 64 anni, nel corso della campagna elettorale si è ripetutamente scontrato con la banca centrale sul livello dei tassi di interesse che il presidente vorrebbe bassi anche in presenza di un'economia surriscaldata. Jason Tuvey, economista sui mercati emergenti presso Capital Economics a Londra, sostiene che la decisione di mantenere una crescente influenza sulla banca centrale, è una decisione molto negativa per gli investitori. «Il perseguimento di una politica economica di questo tipo aumenterà le vulnerabilità dell'economia turca» e, ironia della sorte, «aumenta la pressione del mercato sulla banca centrale turca per intraprendere azioni di emergenza», ha affermato Tuvey. Insomma più si aspetta e più Ankara se ne pentirà.

Ma questo è solo l'inizio. Erdogan ha smesso di ascoltare i consiglieri come Mehmet Simsek, il vice primo ministro per l'economia ed ex banchiere Merrill Lynch che era stato messo in un angolo a favore di altri consiglieri che avevano suggerito di sfidare i mercati. Gli investitori stranieri dal novembre 2002, anno della vittoria dell'Akp, il partito di Erdogan, hanno investito massicciamente in Turchia. Il reddito pro capite è passato in dieci anni da 2.500 dollari a 10mila facendo uscire milioni di persone dalla povertà.

Il governo Akp ricordava che l'economia è tornata a salire nel 2017 del 7,4%. Vero ma questa crescita, tuttavia, è stata accompagnata dal deficit delle partite correnti che si è ampliato al 6% del Pil e dall'inflazione che ha raggiunto quasi l'15,39%. La Turchia ha il 33% di aziende indebitate in valuta estera e questo la rende vulnerabile a rialzi dei tassi americani o del dollaro.

Durante una visita a Londra nel mese di maggio, Erdogan ha detto alla Bloomberg tv che avrebbe assunto un maggiore controllo della politica monetaria. Quello è stato un segnale di allarme e un autogol. «Anche la sola minaccia di interferenze politiche nel fissare i tassi di interesse danneggerà l'economia turca - ha dichiarato Durmus Yilmaz, governatore della Banca centrale turca dal 2006 al 2011 e ora consulente di un partito di opposizione di nuova formazione, lo Iyi Parti, il Buon partito, della signora Aksener, ex ministro degli Interni turco. «Questa retorica è estremamente pericolosa e metterà la Turchia in una strada senza uscita», ha detto Yilmaz in un'intervista rispondendo alle osservazioni di Erdogan. «La Turchia ha provato la stessa vicenda nel 1994 ed è così che siamo finiti con una crisi in cui i tassi di interesse, che all'epoca i politici ritenevano troppo alti, hanno superato il 400%». Solo un governo tecnico alla fine rimise i conti in ordine e diede stabilità al Paese dopo una attenta pulizia nei conti bancari. Ma la lezione è stato presta dimenticata.
Ora il deficit delle partite correnti è arrivato a 47,2 miliardi di dollari (5,6% del Pil) rispetto ai 33,1 miliardi (3,6% del Pil) dell'anno precedente. Inoltre le riserve valutarie ammontano a soli 87,9 miliardi di dollari. Questo dato si deve rapportare con un fabbisogno finanziario estero pari, secondo dati EIU, a 222 miliardi di dollari nel 2018. Insomma le imprese turche rischiano di dover pagare un conto salato per l’instabilità valutaria del Paese della Mezzaluna sul Bosforo.

© Riproduzione riservata