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La scommessa di Uber: diventare la Amazon dei trasporti

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La scommessa di Uber: diventare la Amazon dei trasporti

New York - La scommessa di Uber oggi non è più quella di rivoluzionare i taxi, ma di diventare la nuova Amazon, di imitare la poliedricità del suo modello di business. La Amazon dei trasporti e più: capace di fare delle corse per passeggeri, del servizio di alternativa al taxi, quello che i libri sono stati per il colosso di Jeff Bezos. Un trampolino di lancio, o meglio una piattaforma digitale, che dal dominio in un comparto trae le forza per una espansione inarrestabile.

Nel caso di Uber direttrici di conquista sono state sicuramente identificate dai vertici, oggi guidati dal Ceo Dara Khosrowshahi: mercati internazionali ad alto potenziale di crescita per i servizi “core”, quali India, Medio Oriente, America Latina. Mentre in casa - e presto altrove - intende puntare sulla creazione e gestione di una vasta, capillare e diversificata rete di servizi di collegamento, dalle consegne di prodotti alimentari e pasti - sotto il marchio Uber Eats - a scooter e biciclette.

Uber Alles
Khosrowshahi ha descritto così quest’anno, durante un convegno tech di ReCode, i suoi orizzonti ambiziosi: «Come Amazon vende beni di terzi, offriremo servizi nei trasporti di altri. Vogliamo essere una sorta d Amazon per i trasporti». Più in dettaglio, ride-mailing, guida autonoma, Uber Freight nei servizi cargo e con camion, Uber Eats e più di recente cicli e scooter elettrici, costruiscono questo universo. Per gli scooter Uber si serve di Lime. Per ciclomotori a loro volta elettrici, dopo una partnership con Jump ha poi rilevato direttamente la società. Sta inoltre lavorando con Masabi, gruppo cha vanta una app per prenotazioni di biglietti per viaggi e trasporti. E con Express Pool offre un servizio stile autobus glorificato, di condivisione di spostamenti e dei loro costi. Il risultato complessivo è battezzato point-to-point transportation, capace di organizzare un fitto network sempre più buono per ogni esigenza.

L’incognita dei bilanci
La strada per Uber resta però accidentata e passa dagli ostacoli dei conti. Nel secondo trimestre dell’anno ha riportato un passivo di 891 milioni di dollari, ridimensionato rispetto alle perdite per 1,1 miliardi di dollari subite nello stesso periodo dell’anno scorso. Più promettenti, però, gli incassi lordi, i cosiddetti gross bookings sono aumentati del 41% a 12,01 miliardi. E le sue vere e proprie entrate, al netto delle commissioni pagate agli autisti, sono salite del 63% a quasi 2,8 miliardi. Il “rosso” in bilancio, se più contenuto rispetto all’anno scorso, resta comunque superiore ai tre mesi immediatamente precedenti segnalando i continui, elevati investimenti e le spese necessarie alle strategie di espansione. Nel primo trimestre Uber era riuscita a terminare in attivo grazie alla cessione di attività considerate in maggior difficoltà in Russia e nel Sudest asiatico. Anche in loro assenza aveva tuttavia registrato un passivo più limitato, di 550 milioni. È tuttavia una performance trimestrale che mostra una robusta crescita del gruppo nonostante le polemiche sulle sue pratiche di business e le strette di regolamentazione nei suoi confronti. Ad oggi, sulla scorta di risultati finanziari che promette di migliorare ulteriormente, l’azienda punta così legittimamente su un Initial Public Offering a Wall Street entro la fine del 2019.

Il progetto di Ipo
È un’Ipo che potrebbe diventare uno dei maggiori - se non il maggiore - collocamento azionario iniziale di sempre, vista la valutazione da circa 62 miliardi di dollari raggiunta dall’intero gruppo. Se confermato, lo sbarco rappresenterebbe la consacrazione dell’azienda e del suo modello di business, nata soltanto otto anni or sono, nel 2009, a San Francisco, da un’idea del fondatore e poi controverso primo chief executive Travis Kalanich e dell’imprenditore canadese Garrett Camp.

La cultura di Uber
I conti nudi e crudi non sono l’unico ostacolo. Uber sta ancora facendo i conti con una profonda e difficile riorganizzazione seguita a terremoti al vertice: da un anno è guidata da Khosrowshahi che ha avuto l’incarico di “ripulire” la società da una cultura tossica, ultra-aggressiva e pervasa da abusi instillata da Kalanick. È una missione che appare incompleta: il numero due dell’azienda, il direttore operativo Barney Harford, è reduce da critiche per scarsa sensibilità alle istanze di donne e minoranze etniche.

Le sfide di business
Uber è anche sotto pressione per nuove limitazioni al suo business, fuori e dentro gli Stati Uniti: è recente la decisione della città di New York, tra i principali mercati domestici per la sua crescita, di bloccare la concessione di nuove licenze a servizi stile Uber. Mentre aumenta la concorrenza: il diretto rivale Lyft ha oggi una simile strategia da Amazon dei trasporti. Ha appena rilevato Motivate, leader nei programmi di bike-share (bicliclette) che gestisce tra gli altri Citibike, Ford GoBike e Capital BikeShare. E punta in generale sulle corse condivise: l’obiettivo è che siano il 50% del totale entro il 2020 dal 35% attuale. Per Uber traumi capaci di imporre frenate sono inoltre arrivati da incidenti fatali in uno dei suoi programmi finora considerati d’avanguardia, quello per i veicoli autonomi. In particolare, un episodio in Arizona dove è rimasto ucciso un passante: i programmi self-driving sono stati adesso drasticamente tagliati e non vengono più neppure menzionati dai vertici.

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