Un’economia che corre veloce. Grazie all’Europa. L’Ungheria è uno di quei paesi - l’Italia con i suoi buoni risultati nel commercio internazionale è un altro - non esattamente consapevole dei propri punti di forza: il campione degli euroscettici si sviluppa rapidamente e i suoi abitanti possono godere di un reddito disponibile solido non a causa di un impalpabile - ma non per questo meno reale - effetto dell’appartenenza alla grande area commerciale europea, ma proprio grazie ai sempre maggiori, concretissimi, trasferimenti che riceve dal bilancio di Bruxelles.
Una crescita veloce
Il pil ungherese è cresciuto l’anno scorso di un +4% che potrebbe ripetersi quest’anno. Ha quindi accelerato rispetto al 2016,
tornando a livelli paragonabili a quelli degli anni precedenti. Ha ripreso a crescere anche l’inflazione, però, fino al 3,4%
anche perché la banca centrale ha tenuto i tassi fermi allo 0,90% da maggio 2016 e ha ulteriormente stimolato l’economia con
misure non convenzionali. L’obiettivo di inflazione è al 3% con un margine di oscillazione di un punto percentuale, ma i
tassi reali negativi potrebbero presto far surriscaldare eccessivamente i prezzi.
Il ruolo del forint
Il cambio del forint, la valuta nazionale, è abbastanza in linea con i fondamentali, secondo l’Fmi: se il cambio nominale
è effettivamente sottovalutato del 7-11% il cambio effettivo reale, che tiene conto anche dell’inflazione, è sopravvalutato
del 9-20%. Sono valutazioni molto teoriche, ma il recente deprezzamento è stato in realtà accompagnato da una riduzione -
e non da un aumento - del surplus corrente, sceso dal 6% del pil al 3,1% e dovrebbe calare ancora «a causa della forte domanda
interna» che farà aumentare le importazioni.
Un settore finanziario sano
Mancano però segnali di surriscaldamento del credito. Il gap tra il rapporto tra i prestiti alle aziende non finanziare e
il pil, e il trend dello stesso aggregato - una misura che secondo la Banca dei regolamenti internazionale permette di prevedere
le crisi finanziarie - è negativo, e molto basso. I debiti con l’estero sono ancora elevati - un’eredità del passato - ma
sono in rapida riduzione. Anche il rapporto deficit/pil è sotto controllo: solo quest’anno potrebbe superare il 2%, con un
saldo primario positivo fino al 2017 e previsto in pareggo nel 2018. Il debito pubblico, al 71,3%, è a livelli gestibili.
Il contributo massiccio della Ue
A finanziare l’economia, infatti, ci pensa il bilancio dell’Unione europea. «Gli investimenti pubblici sono aumentati da un
maggiore assorbimento dei fondi Ue», spiega nell’ultimo rapporto, pubblicato a inizio mese, il Fondo monetario internazionale,
e potrebbero raggiungere e superare il 6% del pil quest’anno e i prossimi due. L’Ungheria, nel 2016, ha contribuito al bilancio
Ue con 924 milioni di euro, ma ha ricevuto 4,5 miliardi. Molto? Poco? Il saldo, 3,6 miliardi, è pari al 3,2% del pil di quell’anno,
non certo una somma irrilevante, e soprattutto il 32% delle spese pubbliche per beni e servizi. Con un prodotto interno lordo
pari all’1,1% del totale dell’Unione europea, il paese riceve il 3,9% dei finanziamenti. La forza della domanda interna ungherese
trova a Bruxelles la sua fonte primaria.
La scarsità di manodopera
I problemi arriveranno nei prossimi anni, quando i fondi Ue cominceranno a rallentare e l’economia dovrà camminare sempre
più sulle proprie forze, che non sono eccezionali. La produttività resta bassa e ci sono ampi spazi per migliorarla; la ripresa
è stata robusta ma comunque inferiore a quella dei paesi vicini; e le aziende - in un’economia che ha detto no alle migrazioni
- avranno sempre più difficoltà a trovare manodopera: in diversi settori, l’offerta di lavoro è già molto bassa.
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