L’«incredibile fortuna e lo straordinario talento» di Viktor Orban, ventiseienne del 1989 che sulla piazza degli Eroi a Budapest proclamava «saremo forti abbastanza per mettere fine alla dittatura comunista», sono messi oggi alla prova. L’Ungheria rinnova il parlamento e sceglie se confermare il leader meno democratico di un Paese Ue. Se e come prolungare otto anni di ininterrotto potere durante i quali Orban, oggi 54enne, ha perfezionato il suo capolavoro politico: demonizzare l’Unione europea e vivere dei suoi sussidi.
Questa pagina della Commissione europea racconta la storia dell’assistenza finanziaria all’Ungheria - venti miliardi nel 2008 grazie un intervento congiunto di Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca mondiale - racconto che continua almeno fino al 2016 anno in cui Bruxelles ha versato a Budapest quattro miliardi e mezzo di euro e ne ha ricevuto uno di contributo. Parte di questi fondi Ue, sicuramente 40 milioni, sono finiti nelle aziende controllate da István Tiborcz, genero di Orban, ha concluso a febbraio l’Olaf, l’organismo antifrode della Ue. La notizia non ha fatto certo capitolare il leader del Paese più corrotto dell’Unione, secondo solo alla Bulgaria nella classifiche di Trasparency International e del Worldwide Governance Indicators della World Bank, da anni conosciuto come lo «stato mafioso postcomunista», fortunata definizione dell’ex ministro dell’Educazione, Balint Magyar fatta propria dal miliardario George Soros.
Proprio l’Ue è stata la prova dell’abilità di Orban oltreconfine. Il leader di uno stato dell’Est è diventato leader dell’Est che non vuole uscire dall’Ue ma vuole farne a pezzi i valori. «Voglio creare uno stato illiberale» è stato il suo manifesto politico, e ha indicato i modelli, Cina e Russia. Nessuno come Orban è stato spregiudicato nell’usare i migranti, nessuno come lui se ne è giovato per costruire una leadership parallela a Bruxelles. A Orban guarda la Polonia che a dicembre ha rischiato l’articolo 7 del Trattato di Lisbona mai applicato in passato (la sospensione del diritto di voto e dei finanziamenti europei, l’«opzione nucleare» per neutralizzare le 13 leggi illiberali di Varsavia). Opzione nucleare diventata una fionda quando Orban ha detto che mai avrebbe votato contro il governo sostenuto da Kaczynski, leader gemello che in queste ore chiede agli ungheresi di rivotare il vicino ungherese.
A Orban guarda tutto il gruppo di Visegrad (oltre Polonia e Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca). A Orban guarda anche Sebastian Kurz, il premier conservatore alleato con l’estrema destra al potere in Austria, nonché politici ora in ascesa in Germania, assicura un diplomatico al Washington Post. A Orban ha guardato anche l’ex stratega di Trump Steve Bannon, che lo ha omaggiato come «grande eroe», e Giorgia Meloni, che durante la campagna elettorale italiana si è fatta un selfie con lui a Budapest. Viktor Orban non è affatto isolato né un paria, ha guadagnato influenza ben oltre il peso del Paese che guida.
Nell’Europarlamento gente come Guy Verhofstadt, leader del blocco centrista e grande critico della Brexit, ha detto che sono comunque meglio i britannici che se ne sono voluti andare, che governi come quello ungherese: «Non ammiro coloro che vogliono i soldi dell’Ue ma non i suoi valori». A Bruxelles certo interessa il voto di domani, come evolve la Brexit dell’Est.
Gli altri due bersagli della propaganda di Orban oltre l’Ue, sono i musulmani e George Soros, il miliardario americano di origini ungheresi che in un lontano passato ha finanziato con una borsa di studio a Oxford il giovane studente Orban e ora ne sfida l’autocrazia e le politiche contro gli stranieri. I miliardi di Soros però non bastano, la propaganda web sembra prevalere: un articolo pubblicato dal sito BuzzFeed conclude che la più efficace e sofisticata campagna di fake news ha danneggiato le Ong di Soros e favorito il premier Orban, a conferma che Internet ha aiutato a costruire uno straordinario consenso oltreconfine basato su notizie false.
Non hanno la stessa potenza notizie vere: l’Ungheria di Orban perseguita la stampa libera, mina lo stato di diritto, discrimina i bambini rom a scuola, malsopporta gli ebrei. Né trovano spazio le ragioni di tutto questo. I motivi per cui l’Ungheria, che si era ribellata alla superpotenza sovietica nel 1956, è diventata una variante impazzita di uno stato autoritario. Nel suo recente libro «Orban. Il nuovo uomo forte dell’Europa» Paul Lendvai, giornalista di 88 anni feroce critico del premier che da anni vive in Austria, elenca quattro motivi: l’indubbio talento dell’uomo; la sinistra ungherese «un disgustoso obbrobrio fatto di vecchi comunisti e carrieristi che fanno finta di fare i socialdemocratici»; la nostalgia dell’Ungheria del 1956. È però il quarto motivo il più interessante, «il fattore Trianon».
L’Ungheria sarebbe un gigantesco caso psichiatrico non trattato né tantomeno risolto, nazione che ancora soffre lo scippo del Trattato di Trianon con cui i vincitori della prima guerra mondiale tolsero all’Ungheria il mare e la sua identità con milioni di ungheresi dispersi oltreconfine nei paesi vicini nati dallo smembrato Regno d’Ungheria. Un trattato liquidato in due righe anche in seri libri di storia italiani ma secondo gran parte degli storici causa della seconda guerra mondiale. Un trattato, il Trianon, di cui si ricorda «l’assurdità» anche sul sito della fondazione ungheresi- americani con le parole del presidente americano Wilson e di Winston Churchill.
Dal Trianon del 1920 sono passati quasi cento anni. Cent'anni che forse sono meno di trenta se si considera che l'Ungheria non ha potuto elaborare democraticamente e pacificamente il lutto. La seconda guerra mondiale prima e il lungo regime comunista poi hanno congelato tutto; dopo il crollo del Muro di Berlino il paese si è risvegliato con questo senso di perdita, sostiene Lendvai, molti politici hanno provato a specularci su, Orban lo ha fatto meglio.
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