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Migranti, Orbán e frontiere: l’Europa prepara…

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oggi LO STATO DELL’UNIONE

Migranti, Orbán e frontiere: l’Europa prepara l’offensiva anti-sovranista

È una rentrée particolarmente ricca di incognite quella che si appresta a vivere l’establishment comunitario dopo la pausa estiva. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker terrà mercoledì mattina a Strasburgo l’annuale discorso sullo stato dell’Unione. La situazione è difficile, non per via dell’economia, come nel recente passato. I nodi del momento sono tutti politici: dall’emergenza migratoria allo stato di diritto in alcuni Paesi dell'Est.

L’entourage del presidente assicura che nonostante l’approssimarsi delle prossime elezioni europee, nel maggio del 2019, e la fine del mandato di questa Commissione, l’ex premier lussemburghese rimane “combattivo e propositivo”. Aggiunge un suo stretto collaboratore: «Non sarà un discorso di addio». In filigrana l’obiettivo sarà di rispondere dinanzi al Parlamento europeo alle minacce provenienti dai partiti più radicali, contrastarle per quanto possibile.

L’Europa che protegge
Interpellato ieri il portavoce della Commissione Margaritis Schinas ha spiegato che il discorso del presidente Juncker avrà come leitmotiv “l’Europa che protegge”. Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, la Commissione confermerà l’idea contenuta nella proposta di bilancio comunitario 2021-2028 di dotare l’agenzia Frontex di 10mila uomini per rafforzare il controllo delle frontiere dell’Unione. Il negoziato con i Ventotto non sarà facile perché già oggi la scelta accentratrice preoccupa.

Sempre su questo versante, l’ex premier intende annunciare un rafforzamento delle politiche di ritorno dei migranti che non hanno diritto a rimanere sul territorio comunitario; nuove forme di cooperazione con i paesi terzi; e un potenziamento dell’Ufficio europeo per di sostegno per l’asilo (EASO). Altri temi che verranno rilanciati sono quelli del processo decisionale europeo, con un uso più frequente del voto a maggioranza; e quello dello stato di diritto.

Il “processo” a Orbán
Quest’ultima questione sta avvelenando il rapporto tra i Paesi membri. Due governi sono nel mirino dell’esecutivo comunitario: la Polonia e l’Ungheria. Proprio domani a Strasburgo, il Parlamento europeo sarà chiamato a votare sull’attivazione dell’articolo 7 dei Trattati ai danni di Budapest. La norma prevede prima un monito al paese che viola lo stato di diritto, e poi eventualmente (all’unanimità dei paesi membri) un congelamento dei suoi diritti di voto.

L’assemblea è divisa, così come è diviso il Partito popolare europeo nel quale siede Fidesz, il partito del premier Viktor Orbán. Interpellato dal Sole 24 Ore, il capogruppo del PPE e candidato alla presidenza della Commissione Manfred Weber ha assicurato che «non vi possono essere trattamenti speciali per quanto riguarda i principi fondamentali». La verità è che il PPE è combattuto. Da un lato, la presenza di Fidesz è controversa e complica il tentativo stesso dei partiti più tradizionali di contrastare i movimenti più nazionalisti. Dall’altro, l’eventuale espulsione di Fidesz potrebbe indebolire ulteriormente il PPE e rafforzare di converso i partiti più radicali.

A Bruxelles il portavoce del governo ungherese Zoltán Kovács ha confermato che Fidesz non ha intenzione di lasciare il PPE, anche perché la sua presenza nel centro-destra europeo rafforza la sua legittimità politica. «Il premier Orbán sarà franco e diretto», nel suo discorso previsto oggi dinanzi al Parlamento. Il portavoce ha definito l’atteggiamento dei più critici sulla situazione in Ungheria «una caccia alle streghe pericolosa» perché punta a «dividere l’Europa».

A otto mesi dalle elezioni europee, che potrebbero mostrare un successo dei partiti euroscettici, sono iniziate intanto le manovre politiche. Oltre alla candidatura di Manfred Weber è da registrare la scelta del capogruppo liberale Guy Verhofstadt di fare campagna insieme al presidente francese Emmanuel Macron: «La lotta nel 2019 - ha detto l’ex premier belga - sarà tra populisti nazionalisti da un lato e una alternativa pro-europea dall’altra». Finora il capo di stato francese, in crisi di popolarità interna dopo un recente rimpasto di Governo e l’affaire Benalla, non ha scoperto le proprie carte.

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