Più passa il tempo e più Brexit si complica invece di tradursi in un accordo. Come prevedibile, il summit con i leader dei 27 Paesi Ue la settimana scorsa a Salisburgo è stato un disastro, Theresa May è tornata più isolata di prima e più debole in casa se possibile. Le divisioni politiche nell’Isola sembrano l’ostacolo più grande alla definizione dell’addio del Regno Unito all’Unione. Basta vedere cosa è successo in questo weekend: domenica mattina il Sunday Times scrive che la premier May sta pensando di indire improvvise quanto incaute elezioni politiche forse già entro due mesi.
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Possibili elezioni a un anno dalle urne
Nonostante abbia fatto la stessa mossa un anno fa e l’8 giugno 2017 abbia perso la maggioranza assoluta del parlamento, la
leader dei conservatori nonché del governo sembra volerci riprovare: se fosse vero - l’ufficio della premier ha detto che
è totalmente falso - sarebbe una plateale conferma della sua debolezza dentro al partito, la certezza che non ha i 320 dei
Tory per far passare l’accordo perché almeno 50 deputati vogliono defenestrarla e se non ci riescono almeno boicottarne il
piano di uscita, il cosiddetto Chequers già bocciato dai leader Ue.
Che però i problemi siano più insulari che continentali non è dimostrato solo dalle parole del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che ieri si è mostrato conciliante («un accordo su Brexit è ancora possibile», ha detto) quanto da quello che sta succedendo e succederà sull’asse Liverpool, Birmingham, Londra nel giro di una settimana - dieci giorni.
La mozione Labour per un secondo referendum
Domenica a Liverpool, dove si tiene il congresso annuale del Labour, è stato deciso che martedì si voterà la mozione messa
a punto oggi, per sostenere un secondo referendum su Brexit. Eventualità che il leader Jeremy Corbyn aveva sempre rifiutato
e sembra ora costretto ad accettare, la sua soluzione preferita sono le elezioni anticipate. John McDonnell, da venti anni
deputato laburista e da tre Cancelliere dello scacchiere ombra, oggi chiarisce: «vogliamo elezioni politiche, se non le otterremo
un secondo referendum rimane sul tavolo». McDonnell insomma segue la linea Corbyn «referendum solo sull’accordo Brexit», non
sconfessione dell’uscita quindi una delusione per il Labour più europeista che rivorrebbe mettere tutto in discussione. Se
domani la mozione passa, i laburisti bocceranno quindi l’eventuale accordo finale in parlamento per poi chiedere di nuovo
le urne.
La congiura dei Tory ribelli
Accordo finale che sembra sempre più difficile nonostante l’assertività mattutina del ministro della Brexit, Dominic Raab
(«siamo sicuri di raggiungere un accordo, non c’è alternativa al piano May», eccetera). Raab fa finta che i ribelli non esistano,
e invece la pattuglia di deputati Tory che vogliono rovesciare May e il suo piano è sempre più visibile e, in effetti, non
si può neanche chiamarla congiura perché i Tory stanno agendo alla luce del sole e ora hanno pubblicato un piano alternativo
a quello di May che in sostanza propone una rottura più netta con l’Unione europea. Il piano è stato stilato dal think tank
Institute of Economic Affairs ed appoggiato da David Davis, ministro di Brexit e quindi di May fino a luglio quando si è dimesso
in aperta polemica con la premier proprio perché contrario ad un’uscita morbida.
La provocazione sui cittadini Ue
I Brexiteer combattono questo governo su più fronti e questo governo dà loro nuovi argomenti. Quello di stamane riguarda i
migranti, una delle questioni chiave del divorzio dall’Unione. Il ministro dell’Interno Sajid Javid ha detto che vuole permettere
accesso illimitato ai cittadini Ue per più dei due anni della transizione in caso di «no deal», scrive il Times. Come dire,
se tirate la corda sarà peggio, ma i duri di Brexit non si sentono affatto intimoriti proprio adesso che il governo è debole
e si rischia di non avere alcuna Brexit.
Theresa May ha oggi presieduto il primo consiglio dei ministri dopo il summit Ue di Salisburgo , ha trovato ostilità ma si è impuntata sulla validità del suo piano Chequers che a questo punto non piace né alla Ue (Bruxelles chiede nuove proposte entro ottobre) né ai conservatori. May non ha contro solo il gruppo ribelle ma pare anche alcuni suoi ministri che vorrebbero un’uscita più netta dall’Unione e un accordo di libero scambio sul modello Ue-Canada.
La resa dei conti nel partito e quindi nel governo inizia il 30 settembre a Birmingham quando inizia il convegno annuale dei conservatori, verosimilmente è lì che May sarà messa sotto pressione e forse sotto processo assieme alla sua leadeship e al suo piano di uscita.
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