L’Italia sfida Bruxelles sul deficit? L’Austria di Sebastian Kurz annuncia di averlo azzerato. Il governo accusa l’Europa di «fregarsene» della redistribuzione dei migranti? L’Ungheria di Viktor Orbán è tra le più agguerrite oppositrici di qualsiasi riforma del regolamento di Dublino. Lega e Cinque stelle lamentano l’eccesso di finanziamenti italiani al budget Ue? Fra i maggiori beneficiari dei fondi elargiti dall’Europa ci sono i «paesi di Visegrad», il blocco di governi dell’Est capeggiati dallo stesso Orbán.
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Più si entra nei dettagli del rapporto fra il governo gialloverde e i suoi (teorici) alleati in Europa, più emerge un paradosso di fondo: molti tra i leader Ue affiancati da Salvini nella «internazionale populista» delle europee 2019 sono, in realtà, schierati su linee che finiscono per intralciare i progetti dell’esecutivo gialloverde.
Il divario più evidente è sulla questione migratoria, dove gli interessi dei «patrioti» dell’Est, dell’Austria e di una certa Germania sono all’opposto dell’Italia. Ma anche le politiche di bilancio evidenziano una differenza di vedute che stonerebbe all’intero di una famiglia politica comune in Europa, sempre che se ne riesca a definire una in vista delle urne di maggio 2019.
Il primo contrasto: i migranti
La contraddizione più evidente è sulle politiche migratorie, o meglio, sulle politiche di accoglienza. Il governo italiano
e i suoi possibili partner europei (come l’Ungheria di Orbán) si allineano sulla proposta di sbarrare le frontiere continentali
e avviare una politica massiccia di rimpatri. Il problema è che l’Italia si trova in una collocazione geografica che rende
i suoi interessi molto diversi da quelli dei possibili alleati nella Ue, a partire dall’intero blocco di Visegrad. Roma rientra
fra i paesi di primo sbarco dal Mediterraneo, il gruppo più penalizzato dall’attuale regolamento di Dublino. Ungheria, Polonia,
Repubblica Ceca e Slovacchia, di pari passo con l’Austia di Sebastian Kurz, rientrano in quel blocco dell’Europa continentale
che non ha alcuna intenzione di prendersi in carico i migranti “in esubero” dalle coste sud del Continente. L’Italia avrebbe
potuto avvantaggiarsi della riforma del sistema Dublino, incardinata sull’obbligo di una ridistribuzione più equa dei migranti
e l’imposizione di multe a scatto fisso per ogni richiedente asilo rifiutato dagli Stati membri.
Peccato che il progetto sia impantanato da mesi, arginato dall’opposizione di quello stesso gruppo dell’Est che fa da faro per l’internazionale populista di Salvini e Marine Le Pen. A giugno l’Italia si è accodata al voto contrario al “compromesso bulgaro” raggiunto dalla presidenza di turno dell’epoca all’Eurogruppo; oggi prova ad avanzare una sua versione della riforma, salvo scontarsi sulla riluttanza dell’intero asse Visegrad ad appoggiare un cambiamento che la obbligherebbe a una maggiore cooperazione con i paesi del Mediterraneo. Anche i tentativi di un’alleanza con l’Austria di Sebastian Kurz e la Csu di Herst Seehofer, ministro del governo Merkel, sono naufragati sul nascere. Sia Kurz che Seehofer si sono rifiutati di fornire supporto all’Italia nella gestione dei migranti, secondo una logica delle «frontiere chiuse» che accomuna tutte e tre le parti con il tavolo. Con conseguenze sfavorevoli, però, soprattutto per una: l’Italia, isolata come paese di primo arrivo mentre Germania e Austria sono troppo impegnate a badare ai cosiddetti flussi secondari. Paradossalmente, rispetto alla linea dettata finora, la leader più incline a un compromesso sarebbe stato la Merkel, oggi schiacciata dalle fragilità del governo, la crescita della destra populista e la fragilità del suo alleato preferenziale (Emmanuel Macron).
Bilanci e fondi europei, gli estremi opposti
Anche l’insofferenza per le regole di budget della Ue sembra trovare poche sponde fra gli alleati scelti su scala europea.
Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha annunciato il 7 ottobre che Vienna presenterà alla Commissioneuna bozza di bilancio con deficit/Pil pari alo zero per cento, mentre l’Italia insiste su una manovra che lo farà lievitare al 2,4%. La stessa Ungheria di Viktor Orbán, nonostante le
varie tensioni con la comunità, non ha mai messo ufficialmente in dubbio il rispetto dei parametri di Maastricht, anche per
ragioni di realpolitik: tutti i quattro paesi di Visegrad ricevono dall’Europa molti più fondi di quanti ne versino, altra differenza di peso con
Italia (in credito di circa 2 miliardi, dati dalla differenza tra i 12 versati e i quasi 10 ricevuti). In totale, nel solo
2017, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno versato 5,7 miliardi di contributi a fronte di 21,3 miliardidi euro di fondi incassati da Bruxelles: un bilancio in positivo di quasi 16 miliardi di euro che lascia intendere perché l’asse sovranista voglia «cambiare» e
non distruggere l’Europa. Almeno per ora.
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