Le guerre commerciali e le tensioni geopolitiche zavorrano l’economia mondiale, insieme al ciclo di rialzo dei tassi della Federal Reserve Usa. Il World Economic Outlook dell’Fmi, presentato a Bali, prende atto del deterioramento del contesto globale e registra la frenata della crescita, che nel 2018 e 2019 si fermerà al 3,7% raggiunto l’anno scorso. Una correzione al ribasso di 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di luglio.
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Come scrive il capoeconomista uscente del Fondo, Maurice Obstfeld (andrà in pensione a fine anno e sarà sostituito da Gita Gopinath, la prima donna a ottenere questo incarico), «la crescita si è appiattita a causa del materializzarsi dei rischi economici».
Richiamo all’Italia
Per l’Italia, il Pil è visto in aumento dell’1,2% nel 2018 e dell’1% nel 2019, in linea con le previsioni di luglio. Ci sono
poi alcune raccomandazioni, come quella a non riformare la legge Fornero e il Jobs Act. «In Italia - si legge nel World Economic
Outlook - le passate riforme pensionistiche e del mercato del lavoro dovrebbero essere preservate e ulteriori misure andrebbero
perseguite, quali una decentralizzazione della contrattazione salariale per allineare i salari con la produttività del lavoro
a livello aziendale». Ancora: «Paesi con limitato spazio di bilancio (per esempio Francia, Italia e Spagna) dovrebbero usare
questo periodo di crescita sopra il potenziale e di politica monetaria accomodante per ricostruire cuscinetti di bilancio,
che potrebbero alleviare le tensioni fra banche e debito sovrano». E in conferenza stampa, Obstfeld afferma che «è imperativo
per la politica di bilancio mantenere la fiducia dei mercati e abbiamo visto un
aumento degli spread e questo rende» il Paese più vulnerabile. «È importante che il governo operi nel contesto delle regole
europee».
«Nuvole all’orizzonte»
Obstfeld vede «nuvole all’orizzonte». Le più cupe sono quelle che incombono sul multilateralismo: «Senza politiche inclusive,
il multilateralismo non sopravviverà. E senza multilateralismo, il mondo sarà più povero e più pericoloso».
Oltre a ricordare che i dazi disarticolano le catene globali della produzione e rallentano la diffusione delle tecnologie, il report sottolinea che gli Stati Uniti sono ormai passati dalla retorica ai fatti. Le ritorsioni dei Paesi colpiti possono portare le tensioni a una intensità tale da innescare un «rischio sistemico», con crollo della fiducia dei mercati e impennata della volatilità. Per l’Fmi, con una escalation della guerra commerciale, il Pil mondiale perderebbe lo 0,8% nel 2020 e lo 0,4% nel lungo periodo. Gli Stati Uniti e la Cina perderebbero rispettivamente lo 0,9% e l’1,6% nel 2019.
Fuori dallo scenario dell’escalation commerciale, in alcuni Paesi, alimentata da misure che non sono sostenibili nel lungo periodo, la crescita ha comunque raggiunto un picco. È il caso degli Stati Uniti, arrivati alla piena occupazione anche grazie agli effetti prociclici della riforma fiscale. Questa spinta però si esaurirà dal 2020, quando il ciclo di rialzi dei tassi intrapreso dalla Fed sarà al suo massimo. Sull’aumento del costo del denaro negli Usa, i mercati, si legge nell’Outlook, stanno anticipando un cammino meno ripido di quello previsto dalla Fed. Improvvise fiammate dei prezzi negli Usa potrebbero quindi causare correzioni brusche nella valutazione del rischio.
La crescita americana quindi è prevista in frenata nel 2019 (al 2,5% dal 2,9% del 2018). Il raffreddamento della crescita non risparmierà l’Eurozona, ma sarà particolarmente pronunciata per i mercati emergenti e in via di sviluppo. Un altro fattore di rischio è dato dal possibile fallimento dei negoziati sulla Brexit.
L’outlook del Fondo avvisa poi che il «pronunciato aumento dell’incertezza politica nell’ultimo anno non si è ancora riflesso sui mercati finanziari dei Paesi avanzati». Non manca il monito contro i movimenti populisti e nazionalisti.
Salari stagnanti
Negli Stati Uniti, come in Giappone e in altre economie avanzate, i salari stentano a crescere, anche se la disoccupazione è ai minimi e i gap di produzione si stanno chiudendo. La spiegazione, secondo il Fondo, va cercata
nella bassa crescita della produttività e in sacche di inoccupazione non colte dai numeri sui senza lavoro
Richiamo a Usa e Germania
Nell’outlook dell’Fmi vengono ribaditi due richiami espliciti agli Stati Uniti e alla Germania. I primi, che sono in piena
occupazione (e addirittura «oltre»), hanno un forte deficit commerciale e conti pubblici non sostenibili, dovrebbero stabilizzare
e ridurre il debito pubblico e ritirare le misure procicliche (dalla riforma fiscale alla spinta agli investimenti), che contribuiscono
agli squilibri globali.
La Germania, che invece ha surplus commerciale e di bilancio, dovrebbe aumentare gli investimenti per spingere la crescita potenziale e ridurre gli squilibri esterni.
La Fed stringe e gli emergenti frenano
Negli ultimi mesi, le condizioni di credito nei mercati emergenti hanno subito una forte stretta. Il graduale rialzo dei tassi Usa, insieme alle ripercussioni globali delle guerre commerciali, «hanno scoraggiato - scrive Obstfeld - l’ingresso di capitali, indebolito le monete, depresso i mercati azionari e messo pressione su rendimenti e spread». Fenomeni tanto più marcati in Paesi che attraversano crisi interne, come Argentina, Brasile, Turchia e Sudafrica.
Il Fondo non vede ancora una fuga generalizzata dai mercati emergenti, né si aspetta un contagio ai danni di economie con fondamentali robusti. Con l’avviso, però, che una frenata pesante degli emergenti (responsabili del 40% del Pil mondiale) si tradurrebbe in una seria minaccia per le economie avanzate.
In generale, le condizioni finanziarie globali possono volgere improvvisamente bruscamente alla stretta e i Governi farebbero meglio a prepararsi a eventuali scossoni costruendo idonei cuscinetti di bilancio. Il continuo aumento del debito pubblico e privato, avvisa il Fondo, fa crescere le vulnerabilità finanziarie.
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