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Lussemburgo, Csv sotto il 30%: è il crepuscolo del potere di…

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leader ue al crepuscolo

Lussemburgo, Csv sotto il 30%: è il crepuscolo del potere di Juncker

Il presidente della Commissione europea Juncker: il suo partito è sceso sotto il 30% alle elezioni in Lussemburgo (Epa)
Il presidente della Commissione europea Juncker: il suo partito è sceso sotto il 30% alle elezioni in Lussemburgo (Epa)

Il tramonto di Jean-Claude Juncker passa anche dal Lussemburgo. Un fortino per decenni politicamente inespugnabile, dominato dal suo partito, la Csv: anche ieri i cristiano-sociali hanno vinto le elezioni, ma sono scesi sotto quota 30 per cento. Un risultato che lo schieramento dominatore incontrastato della politica del Granducato per quasi l’intero Dopoguerra non registrava dal ’74. Remoti appaiono i consensi superiori al 40% degli anni Cinquanta, irraggiungibile persino il 38% registrato nove anni fa. Tramontati i 18 anni in cui Juncker regnava sul Lussemburgo, influenzando un ventennio di Consigli Europei.

Quella debacle del 2013
Una posizione di potere, la sua, rafforzata dalla presidenza dell’Eurogruppo. Nonchè decisamente sproporzionata, rispetto all’effettivo peso demografico del Paese. Ad affondarlo nel 2013 non furono scandali legati alle opache pratiche finanziarie lussemburghesi: fu invece uno scandalo interno ai servizi segreti del Granducato. Juncker fu accusato di averne perso il controllo, sorvolando sulla corruzione interna. Quello stesso anno il Lussemburgo passò ai Democratici di Xavier Bettel, premier di ispirazione liberale, segnando la fine di un’epoca.

Il nuovo corso dell’Europa(dis)unita
L’anno dopo Juncker traslocava a Bruxelles, insediandosi alla presidenza della Commissione Europea. L’onda di cambiamento che investe in questi mesi la politica continentale accompagna la sua uscita: l’anno prossimo lascerà la Commissione e sparirà dai radar. Il suo partito, convinto ieri di prendersi una storica rivincita elettorale, continua invece ad arretrare, in un quadro politico lussemburghese frammentato. In questa chiave l’addio di Juncker è molto più che simbolico: avviene infatti sullo sfondo sia della progressiva erosione di consensi dei cosiddetti «partiti tradizionali», sia dell’avanzamento di due fronti politicamente contrapposti. I partiti coraggiosamente pro-europeisti da una parte, e quelli dichiaratamente populisti ed euroscettici dall’altra. Non era probabilmente l’Europa che Juncker immaginava, solo 20 anni fa.

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