Scatta oggi il nuovo round di sanzioni Usa contro l’Iran. E oggi è attesa anche la lista degli otto Paesi che potranno continuare
a importare petrolio da Teheran senza incorrere a loro volta nelle sanzioni statunitensi. Nella lista dovrebbe esserci anche
l’Italia. Ieri migliaia in protesta davanti l’ambasciata Usa nella capitale e in altre città iraniane.
Agli occhi di Donald Trump dovevano essere le sanzioni della tolleranza zero. Che a zero avrebbero ridotto le esportazioni
di greggio iraniano. Dovevano dividere il mondo in amici e nemici, costringendo a una scelta definitiva chi intratteneva rapporti
commerciali sia con l’Iran che con gli Stati Uniti: o Washington o Teheran.
Se il sogno del presidente americano era non veder più una goccia di petrolio iraniano in giro per il mondo il risveglio, alla vigilia dall’entrata in vigore dell’embargo petrolifero americano contro Teheran - potrebbe essere amaro.
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Come era prevedibile, l’amministrazione Trump ha dovuto prendere atto della realtà. Ovvero che non si poteva impedire a tutto il mondo di acquistare greggio dal quarto esportatore mondiale. Ecco, dunque, che le “sanzioni a tolleranza zero” contemplano una lista di 8 Paesi a cui saranno estese le esenzioni. Una lista più numerosa di quanto si pensasse: e che potrebbe comprendere anche l’Italia, unico Paese Ue nel caso abbiano ragione le fonti dell’amministrazione americana citate dall’agenzia Ap. Altre voci interne alla Casa Bianca formulano un elenco diverso: a beneficiare delle moratorie saranno Giappone, Corea del Sud,India, Emirati arabi uniti, Taiwan. Ma probabilmente anche Iraq e Cina e Turchia. La spiegazione offerta da Mike Pompeo, segretario di Stato americano, non convince del tutto: «Esenteremo alcuni Paesi ma solo perché abbiamo visto uno sforzo e stanno riducendo le importazioni di petrolio dall’Iran».
Cina e Turchia, per esempio, avevano precisato fin dall’inizio di non condividere queste sanzioni e di non volervi aderire. Pur riducendo i suoi acquisti l’India, secondo importatore di greggio iraniano, aveva chiarito fin dall’inizio che, volente o nolente, non poteva rinunciare a Teheran. Non solo. New Delhi starebbe anche valutando di acquistare un sistema missilistico di difesa dalla Russia: agli occhi di Washington, un’altra azione sanzionabile. Eppure Pompeo, che non vuole perdere l’ultima potenza asiatica ancora amichevole, ha preferito soprassedere. «Il nostro sforzo è non penalizzare i partner strategici», aveva precisato. Tutto si può dire ma non che la Cina sia un partner strategico degli Usa. Eppure anche a Pechino, primo importatore di greggio iraniano, è stata accordata un’esenzione. Ben inteso, da mesi le raffinerie cinesi avevano ridotto i loro ordini, ma non sono affatto intenzionate ad azzerarli. Ne ora, né dopo.
Giappone e Corea del Sud, i due più solidi alleati asiatici di Washington, avevano anch’essi chiesto di ottenere un’esenzione. Tuttavia hanno fatto il possibile per ridurre il più possibile il loro import da Teheran. Insomma, i primi quattro acquirenti di greggio iraniano potranno continuare a importare il petrolio da Teheran. Non è tuttavia chiaro quanto ne potranno importare e per quanto tempo. In teoria i volumi dovrebbe essere gradualmente ridotti, mentre la finestra di tempo non dovrebbe estendersi oltre i sei mesi, come prevede una legge americana. Salvo poi rinnovare le esenzioni.
La Turchia,che possiede il secondo esercito della Nato, rappresenta un caso a sé. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva precisato da tempo di non voler aderire alle sanzioni. Pretendere che Ankara si associasse all’embargo era un’illusione. L’Iran confina con la Turchia (che peraltro importa il 90% del greggio che consuma), e fornisce da tempo più del 25% dei consumi turchi di greggio. L’autorizzazione americana alla maggiore raffineria turca di continuare ad acquistare greggio iraniano pare dunque rispondere più al pragmatismo che a un reale riavvicinamento tra i due Paesi. Ankara lo avrebbe fatto lo stesso. E la crisi tra i due Paesi si sarebbe aggravata.
A questo punto una domanda sorge spontanea. Ma la tolleranza zero? Seppure in piccole quantità, il petrolio iraniano girerà ancora per il mondo. Goldman Sachs si aspetta di vedere le esportazioni iraniane scendere dai 2,5 milioni di barili al giorno della scorsa primavera a 1,15 entro fine anno. Durante il round precedente di sanzioni, l’export iraniano era sceso a un milione di barili (e nei periodi più bui a 700mila barili al giorno).
Ma allora, nel periodo 2012-2015, l’embargo petrolifero contro Teheran vedeva insieme gli Stati Uniti di Barack Obama e l’Unione Europea. Determinati a usare l’embargo come strumento di pressione per riportare Teheran al negoziato sul nucleare (raggiunto poi nel 2015). Oggi Bruxelles, che ha sempre difeso l’accordo sul nucleare abbandonato da Trump lo scorso maggio, è contraria alle sanzioni americane. E intende mettere in atto una serie di strumenti affinché le aziende europee possano aggirarle: malgrado le maggiori compagnie da mesi stiano riducendo al massimo le relazioni commerciali con Teheran.
Le sanzioni sono uno strumento estremo. Per essere efficaci è necessario che vi aderisca il più ampio numero possibile di Paesi. Cosa che non sta accadendo oggi. Sono troppi i Paesi che non tollerano l’embargo a tolleranza zero.
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