Alla dicotomia soft e hard Brexit si oppone ora l'emergente scenario di una Brexit per consunzione, mossa ultima di un Paese
esausto. Theresa May comincia ad avere buone chance di guadagnarsi la “medaglia” della Brexit per manifesta disperazione di
cittadini e deputati da due anni e mezzo avvolti nelle nebbie di scenari che si muovono al ritmo di un consenso dettato dalla
propaganda e da un'economia straordinariamente resistente.
Questa settimana promette di essere un passaggio - chiave con la discussione nel governo di un possibile accordo fra Londra e Bruxelles che pare contemplare la permanenza del Regno tutto nell'unione doganale, fino a quando, almeno, nuove, futuribili intese commerciali post-Brexit saranno state individuate. Uno scenario senza data che, proprio per questo continua ad irritare i brexiters, consapevoli che la “customs union” rischia di diventare una condizione di fatto permanente per il Regno Unito.
Downing street non conferma, ma questo appare lo scenario prevalente per disinnescare l'eccezione nord-irlandese. Belfast,
infatti, continuerebbe a godere di trattamento sostanzialmente identico al resto del Paese. All'unione doganale si affiancherebbe
la quasi partecipazione al mercato interno che Londra vorrebbe condividere per manifattura e prodotti agricoli – essenziali
anche per tenere fluido il confine fra Ulster e repubblica d'Irlanda – chiamandosi fuori dai servizi finanziari. Lo scenario
in quest'ultimo caso prevede l'adozione da parte di Londra della proposta di Bruxelles (accesso parziale per le istituzioni
finanziarie extra Ue sulla base del principio dell'equivalenza) con qualche caveat – nel caso di divergenza successiva – che
rende la cosa meno dolorosa per i britannici desiderosi di incassare la percezione, o poco più, di aver spuntato qualcosa
a Bruxelles.
La lite sui servizi finanziari per molto tempo annunciata come il vero terreno di scontro sul divorzio anglo-europeo è davvero
mancata? Probabilmente è stata solo rinviata perché la dichiarazione politica sulle relazioni economico-commerciali che verranno
alla base dell'accordo oggi negoziato fra Londra e Bruxelles dovrà essere riempita di contenuti nei mesi (anni) successivi
all'uscita fissata per il 29 marzo 2019.
Se questo è lo scenario che va prendendo forma ne conseguono alcune considerazioni. La prima è che Theresa May ha coperto a ritroso un ampio tratto di strada passando dalla Brexit dura e pura dal lei stessa vagheggiata al congresso Tory del 2016 a uno scenario che contempla un addio morbido morbido verso un mondo tanto simile a quello in cui abitano i Paesi dell'Efta. La seconda è che l'uscita maturerà sui binari dell'incertezza perché sarà il negoziato commerciale finale – successivo al 29 marzo 2019 – a definire l'intensità della Brexit. Londra rischia di uscire senza sapere con assoluta certezza il mondo che verrà. Deputati e Lords si troveranno a votare un deal che si presenta soft, ma potrebbe divenire hard una volta riempito dei dettagli commerciali oggi rinviati.
Lo voteranno ? Il dubbio resta, ma la disperazione potrebbe avere un ruolo, offrendo ai membri del parlamento una buona ragione
per abbracciare la linea mediana oggi sposata da Theresa May. Per esaurimento – lo ripetiamo - più che per convinzione. Un
timore in qualche modo rappresentato da Tony Blair, l'impopolarissimo (non si capisce davvero perché, guerra in Iraq a parte)
ex premier che si batte per un nuovo referendum, nel recente appello per un rapido ritorno alle urne.
L'ipotesi di una nuova consultazione è l'unica realistica alternativa alla Brexit di Theresa May in via di definizione. La invocano a gran voce molti elettori pentiti del voto espresso nel 2016, a Londra, ma – secondo gli opinion polls - anche nel nord laburista del Paese dove il pollice verso l'Ue diede inattese soddisfazioni ai brexiters. Impossibile prevedere ora se davvero si farà. Il peggiore nemico per i remainers che si battono per un nuovo voto non sono più gli isolazionisti duri e puri, ma la stanchezza di un popolo stremato da un dibattito incomprensibile, distorto, com'è stato, dall'inevitabile overdose di fake news. Il colpo di scena di questa saga infinita crediamo che possa venire proprio da lì: dal metodo usato dai leavers per orientare l'elettorato in chiave anti Ue. Da giorni al centro del dibattito politico e giudiziario c'è l'imprenditore Aaron Banks, considerato amico di Mosca. Se i solidi usati per la campagna dei brexiters si dimostreranno legati, in qualche modo, al Cremlino, per la Brexit sarà davvero la fine.
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