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I guai di zuckerberg

Russiagate e Cambridge Analytica, il Nyt: Facebook ha cercato di nascondere le prove

Un'inchiesta del New York Times entra nel ventre di Facebook per portare a galla tutto quanto successo negli ultimi mesi: dal Russiagate a Cambridge Analytica. E svela che a Menlo Park non solo sapevano tutto da tempo, ma che avrebbero anche cercato di confondere le acque, di nascondere, di sviare. Una storia molto approfondita che lascia più di una perplessità, soprattutto relativamente alla condotta mantenuta dal Ceo dell'azienda, Mark Zuckerberg, e dalla Coo, Sheryl Sandberg. Entrambi, secondo il quotidiano newyorkese, sono rei di aver prima sottovalutato i problemi dell'azienda, per poi cercare di nasconderli. Secondo il Times, «nei momenti critici degli ultimi tre anni, Zuckerberg e Sandberg sono stati distratti da progetti personali e hanno delegato le decisioni in materia di sicurezza e politica ai subordinati».

A leggere l'inchiesta, la prima domanda è: qualcuno pagherà per tutto questo? E in caso contrario, perché no? I dettagli della storia, del resto, sono forti. A partire dal fatto che Facebook pare abbia «impiegato una società di ricerca dell'opposizione repubblicana per screditare i manifestanti attivisti, in parte collegandoli al finanziere liberale George Soros». E che abbia provato a «persuadere un gruppo ebraico per i diritti civili ad accusare l'azienda di antisemitismo».

Per quanto riguarda Zuckerberg, il vero nodo riguarda il suo reale coinvolgimento nelle azioni più scottanti degli ultimi due anni. A partire dal Russiagate. Fonti vicine a Facebook, sostengono che il Ceo, preso da impegni personali, è stato poco coinvolto nella faccenda dell'ingerenza elettorale russa. E che sia lui che la Sandberg abbiano preso in mano la faccenda solo un anno dopo (nel 2017), e a cose già fatte. Quando Facebook ha ammesso per la prima volta che un governo straniero aveva usato il sito per seminare discordia prima delle elezioni, la decisione è stata quella di non nominare la Russia, per paura di far arrabbiare i legislatori repubblicani. Il tutto senza che il Ceo prendesse parte alla discussione. E quando i massimi dirigenti di Facebook hanno discusso sull'ipotesi che il presidente Trump avesse violato o meno i termini di servizio dell'azienda prima delle elezioni del 2016, Zuckerberg «non ha partecipato al dibattito». All'interno della società di Menlo Park erano convinti che se avessero tirato in ballo sin da subito la Russia, i repubblicani avrebbero accusato Facebook di schierarsi con i democratici.

L'attacco a Soros e alle altre aziende tech per inquinare le acque
Altro capitolo scottante riguarda l'attacco al filantropo ebreo George Soros e alle altre aziende tech, nel tentativo di intorbidire le acque. L'inchiesta del Times svela che in seguito alla crescente pressione dei legislatori sul suo ruolo nell'interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016, Facebook si è rivolta a Definers Public Affairs, una società di consulenza politica con sede a Washington, fondata da repubblicani. Una delle tattiche di Definers ha previsto la pubblicazione di decine di articoli negativi su altre aziende tecnologiche, tra cui Google e Apple, per cercare di distogliere l'attenzione da Facebook. Contenuti pubblicati su NTKNetwork.com, un sito web che sembra un sito di notizie ma in realtà è gestito dall'azienda di pubbliche relazioni. Un'altra tattica è stata quella di far apparire George Soros come la forza trainante dei gruppi anti-Facebook, spingendo poi la stampa a esaminare i legami finanziari tra Soros e gruppi come Freedom from Facebook e Colour of Change.

Il dubbio della privacy
Il vero punto, insomma, è sempre lo stesso: la capacità di Facebook di tutelare i dati dei suoi oltre due miliardi di iscritti. L'inchiesta del Times, che si basa su interviste a circa una cinquantina di persone coinvolte nella storia recente di Facebook. ridisegna un'azienda con molte contraddizioni, dove i vertici sembrano propendere per decisioni poco inclini all'etica: nascondere, sviare, screditare chi accusa. E non cercare di arginare i problemi, trovare soluzioni. Oltre al “russiagate”, i soliti problemi si sono palesati anche con il caso Cambridge Analytica, vero e proprio tsunami per Facebook e le sue garanzie sulla tutela dei dati personali. Anche in questo caso, secondo l'inchiesta, l'azienda di Menlo Park avrebbe cercato di nascondere la cenere sotto al tappeto, prima di passare alla fase due (quella dell'attacco), quando il fatto era ormai diventato noto. Mentre Zuckerberg chiedeva scusa nelle audizioni davanti al Congresso americano, Sheryl Sandberg pare abbia cercato di condurre una campagna per screditare i manifestanti attivisti, cercando di collegarli al finanziere George Soros.

Accuse pesanti, alla quale né Zuckerberg né la Sandberg hanno preferito rispondere. L'unica risposta è arrivata da una nota ufficiale nella quale la società ammette che «è stato un momento difficile per Facebook e l'intero team di gestione si è concentrato sull'affrontare i problemi che affrontiamo, Stiamo lavorando duramente per garantire che le persone trovino i nostri prodotti utili e per proteggere la nostra comunità da cattivi elementi».

La ripicca contro Cook
Sempre in queste ore, poi, emerge un altro fatto legato allo scandalo privacy. Uno dei più agguerriti accusatori nei confronti di Facebook, come si ricorderà, è stato il Ceo di Apple, Tim Cook, che non ha perdonato a Facebook lo scandalo Cambridge Analytica criticando pesantemente il comportamento dell'azienda di Menlo Park. A queste accuse, secondo quanto emerso, Zuckerberg ha risposto con una piccola vendetta interna. Il Ceo di Facebook pare abbia ordinato ai suoi dirigenti di utilizzare soltanto smartphone e tablet Android. Stop agli iPhone in azienda, insomma.

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