Matteo Salvini sta riuscendo a dividere l’Europa. Anche quando si parla delle forze politiche più distanti, in teoria, dai «burocrati di Bruxelles»: i cosiddetti partiti populisti, gli alleati (o ex alleati) della Lega in vista del voto di maggio 2019. Da un lato Sebastian Kurz e Viktor Orban, passati dai flirt sull’immigrazione alle bacchettate sul «rispetto delle regole di bilancio» della Ue. Dall’altro Marine Le Pen, leader del Rassemblement national, l’unica a difendere Salvini dalla «bocciatura politica» che sarebbe stata inflitta dalla Commissione.
È presto per dire se l’internazionale populista sia sull’orlo di una spaccatura fra Ovest ed Est, anche perché l’intera ipotesi di una alleanza a destra si è retta ad oggi più su rumors giornalistici che annunci ufficiali. Eppure si stanno definendo sintonie che proiettano il fronte italiano e francese in una direzione diversa da quella dell’asse di Visegrad, il raggruppamento che aveva sempre fatto da faro per i partiti euroscettici in corsa per il voto del 2019. Il dialogo all’interno della cosiddetta internazionale populista funziona quando si tira in ballo l’unico argomento che fa da collante, la chiusura delle frontiere esterne. Meno se la ricerca di armonia si sposta sul fronte del budget, inteso come le regole di contabilità dell’Unione.
Dall’Austria all’Ungheria, perché i populisti voltano le spalle al governo
Il diverso atteggiamento dei leader sul caso italiano rivela una differenza sostanziale sui programmi e il background “geografico”
dei partiti che dovrebbero stravolgere gli equilibri della prossima Eurocamera. L’insofferenza dei leader di Austria e Ungheria
per la manovra italiana nasce dal timore che la «pesante deviazione» contestata dai commissari finisca per trasformarsi in
un nuovo caso Grecia. Kurz è partito all’attacco da tempo, dichiarando che la proposta di bilancioè «inaccettabile» per come è stata presentata e ripresentata Bruxelles. Il portavoce di Orban Zoltan Kovacs è appena entrato a gamba tesa sullo stesso argomento, ricordando al governo gialloverde
che «le regole europee ci sono e vanno rispettate».
Si è aggiunta al coro anche Alice Weidel, co-leader del partito di destra radicale tedesco Alternative für Deutschland, con una sferzata via social rivolta proprio a Matteo Salvini: senza la «flebo dell’Europa», ha scritto Weidel, l’Italia sarebbe destinata al default in tempi rapidi. Le Pen, intervistata anche da La Stampa, legge la questione da un’angolatura del tutto opposta. L’ex candidata dell’ultradestra all’Eliseo sostiene che il no alla manovra sia «politico», rinfacciando al suo stesso Paese di aver «più volte sforato il deficit». Il linguaggio è simile, per non dire uguale a quello dell’asse gialloverde: l’importante, dice, è «cancellare le politiche di austerity» per assestare una «sconfitta a Bruxelles». Non è una novità che l’internazionale populista sia pervasa da contraddizioni, figlie anche del contrasto intestino fra partiti che si dichiarano nazionalisti. Ora, però, la tensione sembra alzare un muro fra partiti del tutto euroscettici e quelli che Le Pen ha ribattezzato i «partiti dell’area del marco», alludendo alla Germania e al suo rapporto di interdipendeza con le economie dell’asse di Visegrad.
L’esperto: populismo volatile, intesa vera è sui programmi
Nel frattempo, però, «l’onda populista» cresce. I partiti accomunati dall’attacco alle istituzioni Ue potrebbero arrivare
a contare almeno un settimo degli scranni al prossimo europarlamento, con la prospettiva di cercare l’assist di sigle moderate.
Un’indagine del quotidiano britannico Guardian alza l’asticella e prevede che un europeo su quattro è sul punto di votare
un partito affiliato alla destra populista. Si troverà di fronte a un blocco compatto o diviso, magari proprio fra un asse
occidentale e orientale? «Il populismo è volatile per sua natura. I partiti vanno d’accordo sull’immigrazione, è sul resto
che si creano problemi» spiega al Sole 24 Ore Andrea Pirro, ricercatore alla Scu0la Normale Superiore e fra gli accademici
italiani coinvolti nel panel di esperti del Guardian. «Fra Salvini e Le Pen c’è un feeling che durerà - prosegue Pirro -
perché c’è una sintonia sui programmi. Mentre Kurz e Orban si somigliano quando si parla di ricette economiche. Dipende da
quanto e se riusciranno ad andare oltre. E coalizzarsi fra loro».
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