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G20, dietro le tensioni Trump-Xi la guerra per la leadership tecnologica

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USA-CINA

G20, dietro le tensioni Trump-Xi la guerra per la leadership tecnologica

Il banchiere lavora per uno principali istituti americani e adesso sorseggia tranquillo un aperitivo in un grattacielo a Manhattan. Ma il suo pensiero è ancora rivolto alla Cina, da dove è appena tornato. E quando ne parla, chiedendo l’anominato forse per non far sfigurare il proprio datore di lavoro, nonostante la lunga esperienza globale fatica a non tradire meraviglia: descrive la grande avanzata, i balzi tecnologici della potenza asiatica anche nella finanza; dai servizi al consumo per pagamenti ai trasferimenti di fondi, tutto interamente su network mobili, via smartphone, senza cash, conti correnti, carte di credito, sostituiti da eco-sistemi digitali targati Alipay, costola di Alibaba, o WeChat di Tencent. Vede un futuro plasmato a Pechino e Shanghai quanto o più che sull’asse tra New York, Washington e Silicon Valley.

È un esempio rivelatore della grande e complessa sfida sotterranea in corso tra le due principali potenze al mondo, che appare assai più intrattabile e duratura delle schermaglie economiche e commerciali esplose in superficie tra Stati Uniti e Cina. Una sfida che precede Donald Trump e la sua dottrina di America First e che probabilmente sopravviverà a lui. È una gara con in palio il primato hi-tech. Intelligenza artificiale, robotica, biotecnologia, nano-ingegneria, nano-manifattura, integrazione tra economia reale e digitale. Usa e Cina si contendono le vette in classifica per brevetti, velocità e numero di supercomputer, adozione di AI nelle aziende, i primi spesso ancora in vantaggio ma la seconda che incalza. E in un segno degli intrecci bilaterali nati con l’avanzata di Pechino - e delle complicazioni di un decoupling delle due economie invocato dai critici - oggi il 40% dell’export cinese negli stessi Stati Uniti è costituito da elettronica.

Più che delle dichiarazioni della politica, gridate o scritte, le radici di questa sfida affondano così nelle strategie e azioni economiche. Pechino ha messo in campo il piano industriale Made in China 2025, inteso a stimolare una leadership in dieci settori d’avanguardia nell’hi-tech aumentando la percentuale di “content” locale del 70% entro quel traguardo. Una parallela “road map” tecnologica prescrive autosufficienza nei veicoli di nuova generazione e elettrici come nei robot industriali, nei sistemi aerospaziali e nei chip per il “mobile”. Abbastanza da rappresentare, ha concluso il Council of Foreign Relations, una «minaccia esistenziale alla guida americana nel tech».

Washington ha risposto aumentando le difese. In estate l’Ufficio della Casa Bianca dedicato a Politica commerciale e manifatturiera ha dato alle stampe un rapporto significativamente intitolato all’«aggressione economica cinese» e alla sua minaccia «per tecnologie e proprietà intellettuali statunitensi e mondiali»: denuncia furto e spionaggio, strategie quali il forzato trasferimento di tecnologie per avere accesso al mercato locale, e investimenti in sei anni per 20 miliardi in oltre 600 asset hi-tech degli Stati Uniti. È stato seguito dalle 525 pagine della US China Economic and Security review prodotta dal Congresso nelle ultime settimane, forte di 26 raccomandazioni tra cui, accanto a generali strette di sicurezza, intelligence e difesa, ci sono specifiche misure economiche: da verifiche annuali di vulnerabilità nelle catene di fornitura legate alla Cina a ricorsi contro pratiche distorsive degli scambi in seno alla Wto, dalla protezione delle nuove reti mobili di tlc 5G da rischi posti da tecnologie cinesi al riesame di collaborazioni tecniche.

Se questo disagio ha trovato espressione anche nelle prese di posizione su deficit commerciale e dazi - Trump ha colpito settori legati al tech e alla nuova Via della Seta - il confronto-scontro più concreto e dalle incerte conseguenze si è manifestato sulle frontiere aziendali: lo scorso marzo la Casa Bianca ha bloccato nei microchip - comparto strategico per entrambi i paesi - l’acquisizione da 117 miliardi dell’americana Qualcomm da parte della Broadcom di Singapore, per i troppo stretti rapporti di quest’ultima con Pechino. Più di recente ha stretto d’assedio la cinese Zte, produttore di smartphone e attrezzature tlc, multandola per violazioni dell’embargo a Iran e Corea del Nord e portandola sull’orlo della chiusura. Trump si è poi mosso contro un altro gigante cinese delle tlc, Huawei, bloccando acquisti delle sue tecnologie wireless sospettate di porre rischi alla sicurezza nazionale, spionaggio e furto di dati. E ha lanciato una campagna per convincere gli alleati, europei e non, a fare altrettanto. Negli ultimi giorni Nuova Zelanda e Australia hanno seguito l’esempio americano.

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