Brexit è cosa fatta? E chi l’ha detto: qualora il Parlamento inglese respingesse l’accordo di uscita dall’Unione europea proposto dal premier Theresa May, le probabilità che dopo il 29 marzo la Gran Bretagna lasci l’Ue o ci resti sarebbero del 50 e 50 per cento. Chiacchiere da bar? Mica tanto: lo dice Liam Fox, ministro del Commercio internazionale del governo May, membro del Partito conservatore e «brexiteer» convinto, in un’intervista al Sunday Times. Per Fox l’appoggio alla proposta May è «una questione d’onore»: il ministro preferisce un accordo non del tutto soddisfacente al naufragio della Brexit.
Se il testo fosse respinto, secondo il membro dell’esecutivo, la cosa «manderebbe in frantumi il legame di fiducia tra l’elettorato e il Parlamento». Il ministro ha quindi aggiunto che sarebbe «sicuro al 100%» della Brexit solo se i parlamentari appoggiassero il deal. Che si tratti di una chiamata alle armi nei confronti dei «brexiteer» più ostinati che non hanno affatto gradito la proposta May? Può essere, in ogni caso nell’intervista Fox sottolinea come avrebbe preferito «maggiori concessioni da parte della Ue sul tema spinosissimo del backstop irlandese», così da evitare la nascita di una frontiera rigida tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda.
Proprio in questi giorni il Times di Londra ha pubblicato un report che individua, come possibili effetti di una Brexit No deal, tagli alle tasse e ai tassi d’interesse nonché il ritorno a una forma di quantitative easing. I 52 economisti intervistati, quattro dei quali noti sostenitori della Brexit, convenivano sul fatto che il No deal avrebbe richiesto l’intervento del Tesoro e della Banca d’Inghilterra, a seguito del quale la nazione si sarebbe ritrovata con un deficit maggiore. Quasi la metà degli intervistati (il 42%) riferisce che esiste almeno una possibilità su cinque che la Gran Bretagna lasci l’Ue con un No deal.
(Articolo aggiornato al 16 febbraio 2019, ore 17,30)
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