Lo spettro di sanzioni americane che vadano a colpire le banche russe e il debito sovrano di Mosca sembrerebbe recedere, proprio per la consapevolezza del Tesoro Usa dell’impatto che misure così draconiane potrebbero avere, non solo sulla Russia. E tuttavia la de-dollarizzazione dell’economia russa - il desiderio di ridurre il numero di asset vulnerabili al rischio di eventuali nuove sanzioni - prosegue per la sua strada: la Banca centrale russa non ha mai fatto mistero, in questi ultimi mesi, di voler diversificare il proprio portfolio di investimenti dopo aver rapidamente e drasticamente tagliato di quattro quinti (81 miliardi di dollari tra maggio e giugno) il numero di Treasuries in possesso di Mosca, fino a poco tempo fa tra i primi dieci Paesi investitori in titoli americani.
Equilibri rivoluzionati: lo sguardo su Pechino
La Banca di Russia pubblica ogni sei mesi il dettaglio geografico e valutario degli investimenti in oro e riserve internazionali: e il quadro che emerge dai dati pubblicati mercoledì sera - relativi dunque alla primavera scorsa - cambia drasticamente gli equilibri. Al termine del secondo trimestre 2018 le riserve internazionali russe, tra le prime al mondo (in giugno 458 miliardi di dollari, saliti attualmente a 466,9) avevano trasferito 101 miliardi dal dollaro a euro, yuan e yen: investendo l’equivalente di 44 miliardi ciascuno in euro e yuan (per un totale rispettivamente di 147 e 67 miliardi), e 21 miliardi in valuta giapponese. In questo modo, la quota cinese nel paniere valutario balza dall0 0,1% di un anno fa al 5% del primo trimestre e al 14,7% del secondo, mentre gli asset in dollari (metà, si ritiene, detenuti fuori dagli Usa) scendono dal 43,7% al minimo storico del 21,9% e quelli in euro vanno al 32%. Inoltre, secondo Morgan Stanley, nella prima metà dello scorso anno la Russia è stata nettamente il principale acquirente di bond cinesi.
“Non siamo noi a lasciare il dollaro, è il dollaro che lascia noi”
Vladimir Putin, presidente russo
Una scelta strategica dal punto di vista geopolitico, non economico, fanno notare gli analisti. E che ha la benedizione di Vladimir Putin, che più di una volta ha auspicato il passaggio all’uso di valute diverse dal dollaro nelle transazioni internazionali: passaggio non certo semplice per un Paese impegnato soprattutto nell’esportazione di materie prime, scambi basati sul dollaro nei mercati globali. «Noi non abbiamo l’obiettivo di prendere le distanze dal dollaro - aveva detto Putin poco più di un mese fa -, ma siamo costretti a farlo. E, vi assicuro, lo faremo. Solo, non vogliamo fare mosse improvvise che possano danneggiarci. Non siamo noi a lasciare il dollaro, è il dollaro che lascia noi».
L’Italia a confronto con Francia e Germania
Il rapporto della Banca centrale russa va nel dettaglio degli investimenti effettuati nel trimestre concluso a fine giugno 2018. Una parte delle attività trasferite sull’euro riguarda titoli di Stato francesi: la quota degli investimenti che fanno capo alla Francia, secondo i dati di Bank Rossii, è cresciuta nel trimestre dal 12 al 15,5% del totale. Leggermente inferiore la quota di attivi tedeschi, scesi nel trimestre dal 12,9 al 12,7. Nel rapporto che accompagna i dati, la Banca centrale dedica un paragrafo all’Italia, spiegando che il programma politico del nuovo governo entrato in carica in maggio «contiene tra l’altro un aumento radicale del deficit di bilancio». Uno scenario che «ha contribuito alla caduta dell’euro, e anche all’aumento della domanda di titoli di Stato di Germania e Francia, più affidabili a confronto con quelli italiani».
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