Ha poco tempo per riposarsi sugli “allori” (relativi) Theresa May. Appena incassata la fiducia da quello stesso Parlamento che martedì aveva bocciato a larghissima maggioranza (230 voti di scarto) l’accordo sulla Brexit, il primo ministro britannico è al lavoro per un possibile piano B. Il tempo stringe: l’ipotesi di accordo alternativa, infatti, va presentata in Parlamento lunedì. Il leader laburista Jeremy Corbyn, che è intenzionato a boicottare il confronto, conferma però «che un secondo referendum resta una delle opzioni sul tavolo», anche se lui e il suo partito preferiscono «nuove elezioni».
Nel frattempo, parlando alla Bbc, l’ex primo ministro Tony Blair ha affermato di considerare «inevitabile un rinvio» oltre la data fatidica del 29 marzo quando il Regno Unito dovrebbe in teoria uscire dalla Ue. «Un no deal – ha sottolineato Blair – causerebbe danni enormi».
Secondo indiscrezioni di Bloomberg la strada che potrebbe percorrere Theresa May per raggiungere questo risultato e scongiurare quindi un no deal e, di conseguenza, una hard Brexit, è quella di ottenere un appoggio ampio sia all’interno del suo partito sia dall’opposizione. Per farlo potrebbero essere rivisti alcuni aspetti dell’accordo e mantenuti in prospettiva legami più stretti con la Ue. Uno scenario che non spiacerebbe neppure a numerosi Paesi dell’Unione. Ma, stando almeno alle posizioni registrate fino ad ora all’interno del Governo e del Parlamento britannico è difficile immaginare che questo possa accadere.
Nella prima mattinata di giovedì, intanto, è sembrato quasi un botta e risposta studiato a tavolino tra le due sponde della Manica quello tra il tedesco Manfred Weber e il britannico Brandon Lewis. Non proprio due figure di secondo piano, entrambi conservatori. Il primo, candidato del Ppe alla presidenza della Commissione Ue, ha chiarito che ora tocca al Regno Unito fare la prima mossa, il secondo ha escluso un nuovo referendum e la permanenza nell’unione doganale.
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«Non stiamo parlando di concessioni». A dirlo, riferendosi al Regno Unito e al processo di Brexit arenatosi dopo la bocciatura dell’accordo da parte del Parlamento britannico, è Manfred Weber. Non un tedesco qualunque: il parlamentare europeo è un esponente del partito cristiano-sociale bavarese ma soprattutto si è candidato a inizio settembre 2018 alla carica di capolista per il Partito popolare europeo, con l’obiettivo di diventare il prossimo presidente della Commissione europea. Parlando alla radio tedesca Deutschlandfunk Radio, Weber ha anche precisato che «concedere più tempo – oltre la deadline del 29 marzo che incombe attualmente per la Brexit – ha senso soltanto conoscendo quali siano i piani del governo britannico».
Nell’intervista radiofonica Weber ha anche fatto cenno a uno dei principali temi che hanno portato alla bocciatura dell’accordo da parte del Parlamento di Londra: la questione spinosa del confine tra le due irlande, sottolineando che il backstop è stata un’idea del Regno Unito. Weber ha inoltre spiegato «che le concessioni dell’Unione europea ci sono già e sono contenuta nel dossier dell’accordo. Ora la palla è nel campo degli inglesi».
Al di là della Manica, ovviamente la Brexit continua a tenere banco dopo il voto di fiducia incassato dalla premier Theresa May mercoledì. Nella mattinata di giovedì a parlare è stato l’esponente dei conservatori Brandon Lewis, che alla Bbc ha precisato innanzitutto come «la strada di un secondo referendum non sia quella giusta da seguire» e che ci saranno colloqui nella giornata di giovedì tra i membri del Parlamento e del governo per arrivare a una qualche soluzione di compromesso: «Il no deal è il risultato a cui arriveremo se non succederà nulla di nuovo» ha affermato Lewis, secondo il quale per il Regno Unito è fondamentale poter condurre una politica commerciale indipendente, «cosa che non è possibile fare restando nell’ambito di un’unione doganale».
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