Dopo una batosta storica, come minimo bisogna mostrare di essere collaborativi. Così ha fatto il primo ministro britannico Theresa May che il giorno dopo aver subito la più pesante disfatta parlamentare degli ultimi cent’anni - alla Camera dei Comuni il suo accordo sul ritiro del Regno Unito dalla Ue è stato bocciato con 230 voti di scarto - doveva prima di tutto evitare di far cadere il governo che guida. La signora è sempre stata lesta a mettere da parte slogan che enunciava con grande sicurezza e il crisma della definitività: «Brexit means Brexit», «No deal is better than a bad deal» solo per citare i due quantomeno improbabili riletti oggi. Fino a ieri, poi, ripeteva che l’accordo affossato in parlamento, frutto di 18 mesi di negoziati, «era l’unica opzione».
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Oggi non era già più così, doveva superare il voto di sfiducia presentato dal leader del Labour Corbyn, già nel pomeriggio prometteva un nuovo approccio e incontri con «i miei colleghi» nonché «con gli alleati nordirlandesi del Dup e con i deputati senior» per capire cosa avrebbe dovuto fare per assicurarsi l’appoggio della Camera dei Comuni.
Negoziare a Londra per tornare a Bruxelles
La signora May insomma deve iniziare a negoziare a Londra e poi eventualmente tornare a Bruxelles. Alla vigilia del voto di
sfiduca, non sembrava avere invece alcuna intenzione di chiedere l’appoggio dell’opposizione: Corbyn aveva infatti detto di
non aver ricevuto alcuna telefonata dalla premier, che evidentemente si attendeva. Dopo essersi salvata, May ha invece detto
che contatterà anche Corbyn. Ora bisogna capire se finalmente la premier sughero, che non affonda nonostante tutto, ha una
strategia.
Le promesse
Nel pomeriggio la premier conservatrice si era impegnata «a portare a termine una Brexit chiara, semplice e ordinata», ha
poi detto che non vuole il rinvio della Brexit ma non ha escluso questa possibilità. Ha fatto quattro promesse:
1) Farà una dichiarazione entro e non oltre il 21 gennaio - allo scadere dei tre giorni che gli ha dato il parlamento per presentare un piano B.
2) Proteggerà l’integrità del Regno Unito, integrità messa in discussione - sostengono i suoi critici - dal backstop tra le due Irlande previsto nell’accordo ieri bocciato.
3) Ridarà alla Gran Bretagna il controllo di frontiere, leggi e soldi. Ciò implica che non arretrerà di un passo su tre punti: basta libera circolazione delle persone, basta giurisdizione della Corte europea di Giustizia, basta soldi alla Ue in quanto membro.
4) Permetterà alla Gran Bretagna di avere una politica commerciale indipendente. Questo vuol dire fuori dall’unione doganale in cui invece il Labour vorrebbe rimanere.
Cosa farà la Ue
Per i nazionalisti scozzesi che la avversano da sempre, May ha fallito e la Ue non cambierà di una virgola l’accordo. Per
gli unionisti nordirlandesi alleati di governo che hanno contribuito ad affondare il testo, le rassicurazioni non bastano,
May deve tornare a Bruxelles e cambiare i termini dell’intesa. Intanto il Times di Londra spara che la Ue è pronta a un maxi rinvio fino al 2020. Somma beffa per i Brexiteer di tutti gli schieramenti.
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