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Caos Venezuela, Maduro: «Non me ne vado». Ultimatum ai…

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almeno 26 le vittime

Caos Venezuela, Maduro: «Non me ne vado». Ultimatum ai diplomatici Usa

Tensione alle stelle a Caracas dopo le manifestazioni di piazza e gli eventi che hanno portato il leader dell'Assemblea nazionale Juan Guaidó a giurare da
'presidente incaricato' del Venezuela in un gesto che ha messo apertamente in discussione la legittimità di Nicolás Maduro e spaccato la comunità internazionale. Nel Paese dei due Presidenti ora regna l'incertezza e, soprattutto, lo spettro della repressione e di una guerra civile. «Non rinuncerò mai», ha tuonato Maduro dando dei «pagliacci» agli oppositori del governo parallelo guidato da Guaidò. Parlando alla cerimonia di apertura dell'anno giudiziario, il presidente ha quindi ribadito che «i diplomatici americani devono lasciare il Venezuela entro domenica», passate cioè le 72 ore concesse agli Usa «quando ho deciso di rompere le relazioni diplomatiche». Ovviamente, ha chiarito, «stiamo ritirando i nostri diplomatici in Usa che torneranno a casa sabato».

Sale a 26 il bilancio delle vittime
L'obiettiva prova di forza offerta da partiti e movimenti di opposizione che hanno invaso le strade venezuelane ha parzialmente oscurato la mobilitazione, minore ma non meno agguerrita, del popolo chavista, che si è schierato attorno al palazzo di Miraflores per difendere la legittimità di Maduro. Per 48 ore la piazza è stata la vera protagonista del confronto, come dimostrano gli scontri che hanno causato negli ultimi giorni la morte di almeno 26 persone (secondo quanto riporta una Ong locale) ed il ferimento di quasi 300. In questa prima fase di acuto scontro politico, a far pendere la bilancia a favore di Guaidó è stato il sostegno al massimo livello degli Usa di Donald Trump, emulati da gran parte dei Paesi americani e sostenuti anche da Francia e Gran Bretagna. Una spinta che sarebbe potuta essere fatale per il successore di Hugo Chávez, ma che è stata assorbita dalla netta posizione a
favore di Maduro della Forza armata nazionale bolivariana (Fanb), dell'Assemblea nazionale costituente (Anc) e del Tribunale supremo di giustizia (Tsj). Oltre che dai moniti lanciati a Washington da Russia (che ha messo in guardia dal rischio di un “bagno di sangue”), Cina e Turchia.

Pompeo: dialogo finito, il governo di Maduro è illegittimo
Così oggi il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha scelto il palcoscenico offertogli dall'Organizzazione degli Stati americani (Osa) per contrattaccare, sostenendo che «il tempo del dialogo è finito: il governo di Maduro è illegittimo e tutti gli Stati membri dell'Osa devono riconoscere la legittimità del presidente del Venezuela ad interim, Juan Guaidó». Allo stesso tempo a Washington il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, ha chiarito che «il Venezuela è nel nostro emisfero» e che gli Usa sono concentrati nel sottrarre a Maduro
le fonti di ricavo (ovvero il petrolio) per destinare gli introiti ad un governo legittimo. Questa posizione rischia però di spaccare l'Ue. Se infatti Bruxelles non ha avuto problemi a riconoscere subito la legittimità dell'Assemblea nazionale venezuelana, non sembra potersi spingere fino a dare legittimità a Guaidó. Una mossa simile, infatti, precluderebbe all'Europa di appoggiare quanti, anche al suo interno (Spagna e Portogallo), stanno cercando di attivare un processo di dialogo politico che porti allo svolgimento di nuove elezioni presidenziali in Venezuela, scongiurando il caos.

È il caso della proposta congiunta di Messico e Uruguay, Paesi che non hanno messo in discussione la legittimità di Maduro e che concordano con la necessità di un dialogo politico, sostenuta peraltro dal segretario generale dell'OnuAntonio Guterres e dalla Ue. Proposta cui si è detto aperto Maduro. In conformità con i principi del diritto internazionale, Città del Messico e Montevideo chiedono «un nuovo processo negoziale inclusivo e credibile, con pieno rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani». L'obiettivo è di operare «in favore di stabilità, benessere e pace del popolo venezuelano». Nel frattempo gli Stati Uniti hanno chiesto ufficialmente una riunione a porte aperte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sabato alle 9 locali, le 15 italiane, sulla crisi.

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