LONDRA - Fatti, non parole. Al contrario di molti sostenitori di Brexit, che predicano bene ma razzolano male spostando all’estero
i loro soldi o procurandosi un passaporto Ue perchè non si sa mai, Tim Martin mette in pratica le sue convinzioni.
Ogni penny della sua ricchezza di 500 milioni di sterline è in Gran Bretagna e l’imprenditore, dopo essersi schierato a favore
di Leave prima del referendum, da allora ha continuato a condurre una tenace e personalissima campagna per convincere gli
inglesi che uscire dall’Unione Europea è la cosa migliore per il Paese, per il business e per i cittadini.
D’altronde Martin, anche volendo, non può seguire l’esempio dell’imprenditore Sir James Dyson, che da anni va decantando il
radioso futuro che la Gran Bretagna avrà dopo Brexit però ha appena trasferito la sede del suo impero di elettrodomestici
a Singapore. Martin infatti è il boss di Wetherspoon, una catena di un migliaio di pub e ristoranti in Gran Bretagna, difficilmente
trasferibili all’estero.
L’imprenditore ha fatto di necessità virtù, trasformando i suoi pub in un centro di propaganda e mobilitazione a favore di
Brexit. Ai muri dei ristoranti ci sono poster a favore dell’uscita dalla Ue, mentre sui tavoli ci sono tovagliette con slogan
pro-Brexit. La rivista Wetherspoon News, distribuita gratuitamente ai clienti, ha articoli con lo stesso messaggio.
Anche il menù partecipa alla missione anti-Ue. Martin ha eliminato i vini europei dalla lista a favore di vini australiani,
cileni e americani e naturalmente inglesi. Ora è impossibile ordinare un Pinot Grigio italiano, un Rioja spagnolo o uno champagne
francese, ma si può provare un vino frizzante del Kent o un Sauvignon Blanc neozelandese. Stessa cosa per le birre alla spina:
Martin ha cassato la danese Tuborg, la tedesca Erdinger e la ceca Staropramen a favore di birre inglesi, con grande gioia
dei produttori di “real ale” britannici.
Lo ha fatto, ha detto, per dimostrare che le storie su possibili code alle frontiere e carenze di prodotti nei negozi inglesi
in caso di “no deal” sono solo fandonie allarmiste messe in giro dai sostenitori della Ue. La gente «deve guardare oltre i
limitati orizzonti dell’Europa», afferma Martin, e rendersi conto che il 93% della popolazione del mondo vive fuori dalla
Ue. Migliaia di prodotti altrettanto buoni se non migliori di quelli finora acquistati dai Paesi Ue possono essere comprati
in altre parti del mondo senza problemi e a prezzi più convenienti, secondo lui.
Tutto questo non era ancora abbastanza per Martin, che con l’avvicinarsi della data prevista di uscita dalla Ue ha deciso
di farsi parte attiva per sostenere una “hard Brexit” e diffondere il suo messaggio che uscire senza un accordo è la cosa
migliore. L’imprenditore ha quindi passato gli ultimi due mesi in giro per la Gran Bretagna tenendo comizi nei suoi pub.
Molti degli avventori dei suoi pub, in zone del Paese che hanno votato a favore di Leave, si sono fatti facilmente convincere
dalla retorica di Martin. Il suo tour è stato un successo, afferma. Peccato che i suoi dipendenti siano assai meno convinti.
Dopo settimane di proteste sottovoce i dipendenti si sono alleati e hanno presentato una petizione contro Martin, sostenendo
che non dovrebbe utilizzare i suoi pub per promuovere Brexit e tantomeno una “no deal Brexit” che andrebbe a danneggiare gran
parte della forza lavoro (due terzi della quale viene dalla Ue).
«Siamo dipendenti di Wetherspoon e siamo disgustati dal modo in cui il fondatore e presidente della società, Tim Martin, sta
sfruttando la sua posizione per promuovere una dannosa no deal Brexit nei pub in tutto il Paese -, recita la petizione del
gruppo, che si chiama Spoons Workers Against Brexit -. Martin descrive i sostenitori della Ue come un’élite metropolitana,
ma lui stesso è un uomo estremamente ricco con un patrimonio di 500 milioni di sterline dovuto in non piccola parte al fatto
che paga pochissimo i dipendenti».
Gli organizzatori della campagna fanno notare che gli utili della catena Wetherspoon sono aumentati del 16,5% nell’ultimo anno a 89 milioni di sterline e le vendite sono salite del 5%, ma i dipendenti continuano a ricevere il salario minimo, a fare turni lunghi e inoltre sono costretti a fare propaganda pro-Brexit. La petizione, che chiede stipendi più alti e rappresentanza sindacale per i 37mila dipendenti della catena, ha avuto migliaia di follower da quando è stata lanciata domenica 27 gennaio.
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