NEW YORK – «Siamo alle ultime settimane di negoziati con la Cina. La nostra speranza è che si possa arrivare a un accordo»
ha detto il rappresentante al Commercio Robert Lighthizer ieri in un'audizione davanti alla Commissione finanze in Senato. Un accordo per porre fine alla guerra commerciale tra le
due principali economie mondiali. Lighthizer ha però raffreddato gli entusiasmi dei senatori e frenato sulla pace commerciale:
«Molti capitoli restano aperti. Se non verranno risolti con decisioni favorevoli agli Stati Uniti non ci sarà un accordo».
Il capo negoziatore di Trump ha dunque messo le mani avanti al Congresso, sul fatto che i negoziati con i cinesi rischiano
di fallire: «È difficile prevedere un successo dei negoziati ha questo punto», ha detto.
Le due delegazioni stanno lavorando duro da settimane per cercare di spianare i punti ancora aperti nei negoziati e arrivare
a un'intesa da firmare il 27 marzo in un vertice tra Donald Trump e Xi Jinping, nel resort del presidente a Mar-a-Lago, in
Florida.
Negli ultimi giorni da entrambe le parti sono emersi motivi di pessimismo sulla possibilità di raggiungere un risultato. Qualche giorno fa la stampa cinese aveva scritto delle riserve da parte del presidente Xi su Trump e sulla sua imprevedibilità
che avrebbe causato il fallimento dell'accordo di pace con la Corea del Nord e porrebbe incognite anche sui negoziati commerciali.
Lighthizer, da parte americana, è tornato a soffiare sul fuoco, insistendo sulle posizioni ancora distanti riguardo agli aiuti di stato concessi alle aziende
cinesi, al trasferimento di tecnologie e alla proprietà intellettuale. «Se non verrà raggiunto un accordo – ha detto – abbiamo
il diritto di alzare i dazi». Dazi che, come è noto, dovrebbero colpire altri 250 miliardi di dollari di esportazioni di prodotti
cinesi.
I cinesi hanno offerto di acquistare 1.200 miliardi di dollari di prodotti made in Usa nei prossimi sei anni per diminuire
il disavanzo. Ma sono irremovibili sulla richiesta di rinunciare agli aiuti di stato per le aziende pubbliche cinesi, uno dei capisaldi
alla base del piano di sviluppo Made in China 2025.
Nei sei memorandum di intesa del documento finale su cui si sta lavorando, la Cina offre aperture su: agricoltura, barriere non tariffarie, proprietà intellettuale, servizi finanziari, trasferimento
di tecnologie e stabilizzazione valutaria. Nell’agricoltura, oltre a 30 miliardi di dollari di ulteriori acquisti di soia, riso, mais e grano, Pechino è pronta a cancellare
il divieto all’export per la carne di pollo americana, attivo dal 2015 dopo l’influenza aviaria.
Nell’energia la Cina è pronta ad acquistare 18 miliardi di gas naturale liquefatto americano.
Secondo l’Institute of international finance la guerra con la Cina è già costata agli Usa 40 miliardi di dollari in termini
di perdita di export.
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