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Greta, le Cop, Trump e tutto quello che c’è da sapere sul…

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Greta, le Cop, Trump e tutto quello che c’è da sapere sul clima

NEW YORK - “L'unica cosa sensata da fare è tirare il freno d'emergenza (…). Le soluzioni sono così difficili da trovare che forse dovremmo cambiare il sistema. Il cambiamento sta arrivando che vi piaccia o no”, ha detto la piccola Greta Thunberg davanti all'uditorio dei grandi alla Cop24 (la Conferenza delle parti) di Katowice in Polonia qualche mese fa. La stessa lezione suggeriscono i ragazzi che venerdì hanno manifestato per il clima in tutto il mondo.

L'Accordo di Parigi siglato nel dicembre 2015 da tutti i 196 paesi dell'Onu, tranne gli Stati Uniti che hanno firmato ma non ratificato e si sono di fatto ritirati, ha stabilito per la prima volta dei parametri, delle regole da rispettare, alcune su base volontaria e alcune no (lo sono, ad esempio, tutte le prescrizioni sostenute dalla parola “shall” contenute nell’Accordo e nel suo pacchetto di attuazione) per i paesi firmatari, con degli obiettivi definiti di riduzione della Co2. Gli Stati Uniti formalmente potranno uscire dall’Accordo di Parigi il 4 novembre 2020, a 3anni + 1 dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi avvenuta il 4 novembre 2016, come previsto dallo stesso accordo: il 3 novembre 2020 si svolgeranno le presidenziali Usa: se vincerà Trump di nuovo questo potrebbe succedere, se vincerà un democratico molto probabilmente rientrerà tutto. 

Il Brasile dopo la Polonia avrebbe dovuto organizzare la prossima Conferenza delle parti nel 2019. Ma il nuovo presidente Jair Bolsonaro ha cambiato idea: la nuova dirigenza del Brasile come quella degli Stati Uniti non riconosce più i cambiamenti climatici, e la Cop25, dal 2 al 13 dicembre 2019, per questo motivo, si terrà a Santiago del Cile.

L'Accordo di Parigi, come accennato, prevede la riduzione delle emissioni da parte di tutti i Paesi firmatari in modo da riuscire a limitare il riscaldamento della Terra, puntando a un “aumento massimo della temperatura globale di questo secolo ben inferiore ai 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura anche a 1,5 gradi”. Non è definito un termine. Inizialmente si parlava del 2030. Ma l'impegno continua a slittare perché i Paesi firmatari fanno fatica ad adottare le politiche nazionali di riduzione delle emissioni. Da più parti si parla della necessità di un’estensione del periodo di applicazione per spostare questo termine al 2050.

L'organizzazione che governa le politiche sul clima è davvero complessa e farraginosa.
Il segretariato dell'Onu che si occupa del rispetto dei parametri stabiliti a Parigi si chiama United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Nato nel 1992 dopo il primo agreement internazionale sul clima venuto fuori dal vertice di Rio, e presieduto dallo stesso segretario generale delle Nazione Unite, con un segretario esecutivo che è la messicana Patricia Espinosa. Quest'agenzia ha sede a Bonn, in Germania. Ad essa fanno riferimento tutti gli attori: le nazioni (“parties”), le istituzioni che lavorano attorno al clima (Agenzie Onu, istituzioni finanziarie internazionali ed altre agenzie multilaterali), le ong, le chiese e le associazioni, le aziende private che sono sempre più presenti e attive sul capitolo clima.

Ogni anno dal 1992 tutte le parti si vedono attorno a una Cop (Conferenza delle parti). Il momento di incontro e di confronto più importante sul tema del cambiamento climatico dove si parla dei passi avanti e dei passi ancora da fare e dove si cerca di far diventare cogenti le varie parti sensibili dell'Accordo di Parigi la cui applicazione è su base volontaria.
L'Accordo di Parigi è entrato in vigore nel 2016. Due comitati tecnici permanenti sono alla base dei lavori di ogni Cop. Il primo comitato, con un acronimo impossibile da pronunciare, si chiama SBSTA, che sta per Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice. Si tratta dell'organismo consultivo sul clima (gli scienziati) che offre la consulenza scientifica e tecnologica su tutte le tematiche relative alla Convenzione.
Il secondo comitato permanente si chiama SBI, che sta invece per Subsidiary Body Implementation: è l'organizzazione che lavora per far raggiungere i target prefissati dalle Cop e consiglia la Convenzione in materia di bilancio e questioni amministrative.

In aggiunta al SBI e SBSTA c'è anche l'APA, ossia l'Ad Hoc Working Group on the Paris Agreement. Ovvero la piattaforma che guida il lavoro sull' implementazione dell'accordo di Parigi, una sorta di “governo del clima”. Se vi è venuto il mal di testa a questo punto è normale: uno dei problemi di questo Accordo sul clima è la eccessiva burocrazia, è davvero molto complicato, prima ancora che da far funzionare da comprendere.

Lo stato dell'arte
A che punto è la situazione? Ogni anno ad ogni Conferenza delle parti si cerca di trovare un consenso politico per fare in modo che gli obiettivi prefissati di volta in volta vengano attuati. Ci sono vari problemi. Il primo è di tipo finanziario: si parla di un fabbisogno di circa 100 miliardi di dollari l'anno per realizzare tutte le azioni che sono necessarie contro il cambiamento climatico.
Perché il costo è così elevato? Perché le cose da fare sono tante. Tutte le azioni contro il cambiamento climatico sono state divise in due macro-settori: il mitigamento e l'adattamento. Più aumenta l'inquinamento e più aumenta l'urgenza delle azioni da mettere in campo, da cui i costi che ne discendono.

Mitigazione
Dagli anni Settanta, da quando si è capito dell'esistenza del riscaldamento climatico, una serie di scienziati ha cominciato a parlare di politiche di mitigazione, di riduzione, con varie scienze legate all'energia alternativa o al riciclo, al recupero e così via, e politiche di assorbimento (le azioni che potrebbero aiutare “ad assorbire”, cioè a limitare, la Co2). Tra le “tecnologie” importanti in questo campo secondo gli scienziati ci sono anche gli alberi. Le politiche di deforestazione non sostenibile non aiutano ad andare verso questa direzione. Fanno parte di questa macro-area inoltre tutte le politiche di sostenibilità e per inquinare meno.

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Adattamento
Le politiche di adattamento sono invece quelle politiche che cercano di evitare i problemi più gravi del riscaldamento, come contrastare gli effetti dell'innalzamento dei mari e la scomparsa delle isole (esempio classico è il rischio di sparizione delle Maldive). L'adattamento è di per sé una sconfitta perché equivale a dire non si è riusciti a intervenire sui problemi più gravi, ma bisogna risolvere le emergenze in arrivo. In questi ultimi anni le politiche sul clima si sono spostate maggiormente dalla mitigazione all'adattamento. Il problema più grave dell'adattamento è che devi creare delle infrastrutture per cercare di evitare l'emergenza (barriere, dighe, opere idrauliche e irrigue, cambiamento delle coltivazioni e così via). Con il peggiorare dello stato di salute del pianeta c'è stato uno “shift” tra i due aspetti delle politiche del clima. Ormai in certi ambiti, come nelle politiche sull'acqua, ci sono più misure contro l'adattamento (non c'è più tempo) rispetto alle politiche di prevenzione.

Il Rapporto sul clima
Ogni 7-8 viene pubblicato un rapporto internazionale sul clima, L’Assessment Report dell’IPCC fondamentale per capire lo stato di salute della Terra ed è molto importante perché è la base da cui poi partono tutte le azioni politiche internazionali e nazionali. Il foro scientifico chiamato IPCC, che sta per Intergovernmental Panel on Climate Change e' stato formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite: l'Organizzazione metereologica mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP). Finora l'IPCC ha prodotto cinque Rapporti sul clima Il sesto rapporto è atteso per il 2022.

La Cop di Katowice
Quest'anno nell'ultima Cop in Polonia, durante una sessione del comitato SBSTA non è stato raggiunto il consenso tra le parti perché i rappresentanti di Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, hanno contestato i risultati del Rapporto dell'IPCC, attaccandosi su una frase apparentemente innocua, contenuta in un documento tecnico: “L’SBSTA ha preso atto del Rapporto Speciale dell’IPCC sul riscaldamento globale di 1,5°”. La scelta del termine “noted” (ha preso atto) o “welcomed” (ha dato il benvenuto, ha apprezzato) ha bloccato la discussione per oltre due ore sul fatto che la parola scelta implicasse o meno l’obbligo a ridurre il riscaldamento globale con azioni drastiche. Questo, come detto, è il rapporto scientifico riconosciuto a livello mondiale, sul quale si basano le azioni politiche. Non era mai successo prima: durante la presentazione del documento lo scienziato che lo illustrava si è messo a urlare per cercare di far passare la necessità dell'urgenza delle azioni, davanti alle ritrosie di alcuni delegati. Dopo una lunga mediazione sulla frase da cambiare, il Chair che presiedeva il comitato ha preso atto della mancanza di consenso e la seduta si è chiusa senza l’approvazione del documento. Segno della difficoltà politica che c’è attorno al tema del clima con gli Stati Uniti, prima potenza mondiale, che hanno modificato il loro orientamento e guidano il fronte dei paesi “scettici” grandi produttori di combustibili fossili. Alla Cop 24, tuttavia, è stato adottato il cosiddetto Paris Rulebook, risultato di tre anni di lavoro, ovvero l’intero set delle regole - i “decreti attuativi” - dell’Accordo di Parigi. La maggior parte delle quali hanno carattere vincolante.

Stop ai fondi Usa
Nel 2010 nasce Green Climate Fund (GCF), un fondo finanziato da tutti i paesi, con gli Stati Uniti che per primi si erano impegnati a stanziare 3 miliardi di dollari - e 2 miliardi non sono stati ancora sborsati. Il fondo è poi diventato l'entità operativa, nella cornice del UNFCCC che finanzia le azioni di mitigazione e adattamento dei Paesi in via di sviluppo. La sede di questo fondo è a Incheon in Corea del Sud vicino al confine con il Nord. Ha avuto un inizio complicato con i primi tre anni di attività difficili e poi è partito. Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali nel novembre 2016. Con lui l'America ha cominciato a non premere più sull'acceleratore riguardo ai programmi per il cambiamento climatico. La prima cosa che ha fatto Trump alla Cop23 di Bonn nel 2017 è stata quella di bloccare i finanziamenti americani al Green Climate Fund.

I Fondi internazionali
Il Green Climate Fund con l'aumentare delle azioni sul clima è cresciuto in modo esponenziale. A un certo punto, favorito forse anche dallo stop americano, si è capito che non si poteva concentrare tutte le azioni sul clima su un unico fondo finanziario. Così i fondi che lavorano per l'attuazione degli Accordi sul clima di Parigi si sono moltiplicati. Quelli riconosciuti dall'Agenzia Onu sono il già ricordato Green Climate Fund (GCF), il Global Enviromental Facility (GEF), l' l'Adaptation Fund, che ha sede in Germania, e opera direttamente sotto il cappello dell'Agenzia Onu, il Least Development Countries Fund (LDCF) che si occupa in particolare dell'implementazione dei programmi di adattamento e mitigazione per i Paesi in via di sviluppo e lo Special Climate Change Fund (SCCF) che ha una dotazione di circa 350 milioni di dollari e può essere utilizzato da tutti i paesi non sviluppati, segue al momento 77 progetti di adattamento in 79 paesi.

Questa diversificazione dei fondi dopo il ritiro americano è stato il modo per riuscire a operare ancora nei programmi e nelle azioni contro il riscaldamento climatico. La Germania dopo l'uscita degli Stati Uniti ha aumentato il suo ruolo finanziario e di guida nei programmi internazionali per il clima.

Adaptation Fund
I programmi contro le emergenze hanno avuto uno sviluppo esponenziale negli ultimi anni. Per i problemi dei ghiacciai che si sciolgono, le frane, le erosioni del mare, la desertificazione che avanza a livelli impensati fino a pochi anni fa, le isole che scompaiono. L'Adaptation Fund è stato creato nel 2001 e lanciato nel 2007 nell'ambito del Protocollo di Kyoto della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ha caratteristiche diverse dagli altri Fondi internazionali perché è uno dei pochi fondi incentrati sulla realizzazione di progetti di adattamento locali, concreti e su misura (micro finanziamenti) per le comunità più vulnerabili ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. In particolare, i paesi interessati hanno accesso diretto agli organi del fondo e non mediato dalle Agenzie internazionali. Ha un portfolio di azioni approvate per 554,5 milioni di dollari con 83 progetti di cui beneficiano circa 5,8 milioni di persone in tutto il mondo. Il Fondo è stato pioniere di un meccanismo di finanziamento innovativo denominato Accesso diretto e conta oggi 29 enti nazionali di implementazione (denominati anche NIE, che sta per National Implementing Entities) con sede nei paesi in via di sviluppo. Questa modalità di accesso al finanziamento climatico costruisce capacità nazionali e sul territorio. Il 46% di questi enti nazionali si trova in paesi meno sviluppati o in piccoli stati insulari in via di sviluppo.

Il contributo dell'Italia
Il Fondo di adattamento, tra l'altro, ha un forte legame con l'Italia. L'Italia, infatti, ha offerto 17 milioni di euro di finanziamenti al Fondo dal 2015 al 2017. E il Fondo sta cooperando con l'Italia attraverso i suoi programmi di cooperazione bilaterale. Un esempio è il progetto in Etiopia dell'Adaptation Fund che aiuta le comunità più vulnerabili al clima ad adattarsi a frequenti siccità, inondazioni e variabilità delle precipitazioni e che è stato recentemente replicato dal governo italiano, attraverso il ministero dell'Ambiente, in un nuovo progetto incentrato su altre regioni dell'Etiopia influenzate allo stesso modo dai cambiamenti climatici.

Un miliardo di migranti per il clima
Senza delle azioni concrete al 2050 ci saranno un miliardo di migranti per il clima secondo uno studio della rivista Lancet. Le emergenze climatiche non riguardano solo i Paesi del sud del mondo. Ma toccheranno anche gli Stati Uniti, uno dei paesi con la Cina e India che inquinano di più, e che sotto Trump nega che esista un problema sul clima: secondo un report del febbraio 2018 pubblicato dal New York Times nel 2050 con l'innalzamento dei mari rischiano di sparire oltre alle Maldive, anche una serie di cittadine sulla costa della Louisiana dove vivono circa 350mila persone, prevalentemente di pesca.

Il G20 per il clima
Nell'ultimo vertice dei 20 paesi più grandi del mondo che si è svolto in Argentina è stata raggiunta una difficile intesa all'ultimo minuto su un impegno comune nel rafforzare l'impegno contro il cambiamento climatico. Non era scontato, pur se si tratta di un impegno generico, vista la ritrosia di questa amministrazione americana a operare nei contesti multilaterali come in passato. Il presidente argentino Mauricio Macri, grande amico di Trump con cui condivideva l'attività imprenditoriale nelle costruzioni e nell'immobiliare prima di entrare in politica, è riuscito a portare il vertice a una conclusione positiva. Nella conferenza stampa finale ha sottolineato le opportunità economiche che il clima si porta con sé in termini di un nuovo modello di sviluppo e di cambiamento del mix energetico. Il grande problema è che i governi al momento finanziano appena il 5% della somma che secondo la Banca mondiale sarebbe necessaria per coprire i costi delle tante azioni sul clima, sia nella mitigazione che nell'adattamento. Il Giappone ospiterà il prossimo G 20 il 28 e 29 giugno.

E il premier Shinzo Abe ha già messo in agenda come uno dei punti principali del prossimo vertice dei grandi a Osaka proprio la sfida del cambiamento climatico e la transizione verso una economia a basse emissioni impostata sulle tre R (riduzione, riuso, riciclo) con una raccomandazione per la riduzione e lo smaltimento delle materie plastiche, la cui diffusione nei mari minaccia ormai l'alimentazione umana.

La protesta pacifica della piccola Greta, che nel frattempo forse avrà ricevuto il Nobel per la pace, e di tutti i ragazzi che si sono mobilitati in questa onda pacifica e piena di speranza dietro di lei, ha avuto il merito di aver portato per la prima volta con forza all'attenzione dei politici, dei media e dell'opinione pubblica l'urgenza di agire per il clima. Emergenza che riguarda tutti, in tutto il mondo.

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