Ankara è perduta. E a meno di colpi di scena nei prossimi giorni, anche Istanbul, la città più popolosa, il maggiore centro economico del Paese. Se le elezioni amministrative in Turchia dovevano rappresentare una sorta di referendum sulla popolarità del presidente Recep Tayyip Erdogan, il risultato non può dirsi felice.
Nessuno pare aver dubbi: la crisi economica in corso in Turchia, scivolata nella recessione a partire dal terzo trimestre del 2018, ha accresciuto il malcontento tra gli elettori. Le ragioni sono tante: la crescente disoccupazione, il drastico calo del loro potere di acquisto, l’aumento esponenziale dei prezzi dei generi alimentari, ilcrollo della lira turca ed un’inflazione che, pur dai picchi del 25% di fine 2018, resta pur sempre intorno al 20 per cento, tutto ciò ha prevalso sulle recenti misure anti-crisi con cui il Governo ha cercato di infondere speranza.
Non è andata bene per Erdogan, al potere in Turchia dal lontano 2002 ed uscito vincitore nelle elezioni presidenziali dello scorso giugno. In quell’occasione, l’entrata in vigore di un sistema presidenziale molto forte gli ha conferito poteri così ampi che i suoi rivali non esitano a definirlo il nuovo Sultano. Per lui perdere Istanbul è una sconfitta cocente. La città sul Bosforo non è soltanto il luogo dove è nato, nel quartiere popolare di Kasımpaşa, con le sue cadenti case in legno. A Istanbul Erdogan ha iniziato la sua carriera politica. E sempre a Istanbul, nel 1994, il Sultano ha coronato i suoi sogni divenendo sindaco. «Chi vince Istanbul vince tutto», ha sempre ripetuto.
Anche se per poco, anzi pochissimo, Istanbul l’ha persa. Fino al tardo pomeriggio restavano 72 contenitori di plastica, il cui scrutinio era stato bloccato, ognuno dei quali conteneva meno di 300 schede elettorali. In serata l’agenzia statale Anadolu ha reso noto i risultati (non ufficiali): Ekrem Imamoglu, 49 anni, il candidato del partito di opposizione repubblicano,il Chp, avrebbe vinto con il 48,78% dei voti. Il candidato del Governo, che ha messo in campo che l’ex premier Binali Yildirim, si sarebbe fermato al 48,42 per cento. «Voglio essere il sindaco di tutti, a prescindere dalla cultura, dall’etnia e dalla religione» ha subito precisato Imamoglu.
È solo una magra consolazione se il partito del presidente, l’Akp, resta la prima forza politica del paese con il 45% dei voti, per giunta con il 3% in più rispetto al 2018, quando si è votato per le politiche. Il maggior partito di opposizione, il Chp, questa volta unito in una coalizione efficace, ha registrato performance positive in importanti regioni finora controllate saldamente dal partito di Erdogan dove si trovano anche comparti industriali di una certa entità. Come Antalya, Adana, Mersin ed Eskisehir. Il partito di Erdogan ha comunque conservato il potere nelle regioni dell’Anatolia più conservatrice e religiosa: come Konya, Kayseri, Erzurum, Sanliurfa. Ma in altre città dell’Anatolia profonda il suo consenso si è comunque eroso.
La svolta è arrivata in diverse città dell’Egeo. In questi distretti, la sconfitta dell’Akp è stata più evidente. «La posizione restrittiva assunta dalla Banca Centrale –spiega al Sole 24 Ore Aniello Musella, direttore dell’Ice di Istanbul – con i tassi passati in settembre dal 17,75 al 24% e da allora mantenuti su questo livello, hanno messo in difficoltà le piccole aziende turche, soprattutto quelle che operano sul mercato locale, già provate dalla grande svalutazione della lira turca. Tutto ciò ha reso loro l’accesso al credito se non impossibile, in molti casi proibitivo. Queste aziende, molte delle quali soffrivano di una carenza di liquidità, sono fallite».
A fine dicembre Erdogan aveva annunciato una serie di misure volte ad attenuare gli effetti negativi della crisi economica sulle fasce meno abbienti. Tra cui la riduzione dell’Iva su alimenti e farmaci e sconti sulle bollette elettriche. Ma più di tanto non poteva fare. L’aumento della spesa pubblica non è più sostenibile sul lungo periodo, mentre l’adozione di stimoli fiscali rischia di indebolire la Lira, che nel 2018 ha già ceduto oltre il 30% del suo valore contro il dollaro (ieri i risultati elettorali le hanno fatto guadagnare terreno ). La crescente disoccupazione è un altro grattacapo per Erdogan «Nel 2017 il Pil è cresciuto del 7,4 %,mentre nel 2018 solo del 2,6% - conclude Musella - . Ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro oltre 700mila giovani. Per assorbire questa forza sarebbe necessaria una crescita del Pil del cinque per cento».
L’Akp hanno annunciato diversi ricorsi anche ad Ankara, dove il successo del candidato dell’opposizione, Mansur Yavas, è stato ben più netto, con quasi quattro punti di vantaggio. A Istanbul chiederanno invece il riconteggio di 320mila schede. Ma Questa volta il Sultano non è riuscito a convincere l'elettorato. La sua più forte battuta d’arresto è stata originata dallo stesso habitat da cui aveva preso forma, nel 2002, la sua folgorante carriera politica: una crisi economica.
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