Theresa May rietiene necessaria una nuova, breve estensione della Brexit per trovare il modo di far approvare in Parlamento l’intesa con la Ue. Lo ha detto la stessa premier al termine di una riunione-fiume del governo. L’obiettivo è di trovare un «accordo condiviso» con il Labour di Jeremy Corbyn in grado di ottenere la maggioranza.
La May dunque, nonostante le tre pesanti sconfitte in Parlamento, non si arrende e continua a cercare ostinatamente una maggioranza che le consenta di portare a casa l’accordo firmato con l’Unione Europea. Al momento la data prevista di uscita del Regno Unito è il 12 aprile, già prorogata rispetto alla data originaria del 29 marzo. May ha detto che il nuovo rinvio non dovrebbe andare oltre il 22 maggio, per evitare la partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni europee del 23.26 maggio.
Apertura al leader laburista
«Capisco - ha detto la premier in una dichiarazione pronunciata di fronte alla residenza ufficiale di Downing Street al termine
di una riunione del consiglio dei ministri durata quasi sette ore - che molta gente è talmente stanca di questo processo da
essere pronta a uscire senza un accordo. Ma la posizione di questo governo è di uscire con un accordo e per questo occorre
una breve proroga all'Articolo 50». Il dibattito parlamentare non può continuare in questa maniera, ha aggiunto, e l'approccio
alternativo della Camera dei comuni non ha funzionato. «Per questo sono pronta a sedermi a un tavolo con il leader dell'opposizione
e pensare insieme a un modo su come procedere e uscire con un accordo. Ma qualsiasi intesa deve includere l'accordo di separazione
già concordato con Bruxelles e che il consiglio europeo ha detto che non può essere modificato».
La mossa della May mira a scaricare le responsabilità per un eventuale « no-deal» il 12 di aprile sul partito laburista, ma non è stata accolta all’unanimità all’interno dell’esecutivo: sono stati 17 i voti a favore e 4 i contrari alla nuova linea dettata dalla premier. Ad obiettare contro la nuova richiesta di proroga, sono stati i titolari della Difesa, Gavin Williamson, della Cooperazione Internazionale, Penny Mordaunt, dei Trasporti, Chris Grayling e la numero due del Tesoro, Liz Truss. Altri ministri brexiteer si sono invece piegati. Fra loro il responsabile dell'Ambiente e potenziale aspirante leader Tory, Michael Gove, che in tv ha difeso la scelta affermando come la cosa più importante sia «attuare la Brexit» e ricordando come «il rispetto del risultato» del referendum del 2016 sia parte pure dell'ultimo manifesto elettorale del Labour.
La “apertura” di May è stata apprezzata dal leader del Labour Jeremy Corbyn, che si è detto «molto felice» di incontrare
la premier. «Riconosciamo che ha fatto un passo, io sento la responsabilità di rappresentare le persone che hanno sostenuto
il Labour alle ultime elezioni, ma anche coloro che non lo hanno fatto e vogliono comunque sicurezza e delle certezze per
il loro futuro». Luce verde al discorso di May anche da Nick Boles, l'ex (da ieri) whip del partito Tory, che nelle scorse
ore ha rassegnato le dimissioni in segno di protesta per come l'esecutivo della May ha gestito l'intera vicenda della Brexit.
Boles aveva definito i membri del gabinetto come «codardi» e solo attenti ai propri interessi». «Nessuno che fa parte del
governo dal 2017 ad oggi - aveva detto - si è guadagnato il diritto di guidare il paese». Boles ha invece definito un passo
nella giusta direzione, per quanto tardivo, il discorso di questa sera della May.
Di tutt’altro avviso, invece, Boris Johnson, uno dei brexiteer più convinti, secondo il quale «è molto deludente che il governo
abbia ritenuto di affidare la realizzazione finale della Brexit a Jeremy Corbyn e al Labour». Johnson ha annunciato il suo
voto contrario a prescindere, pronosticando «un accordo molto cattivo che ci lascerà sudditi dell’Ue».
Tusk: serve pazienza. Verhofstadt: meglio tardi che mai
La replica a caldo dell’Unione Europea è affidata al presidente del Consiglio Donald Tusk: «Benché, dopo questa giornata -
ha scritto in un tweet - non sappiamo ancora quale sarà il risultato finale, cerchiamo di essere pazienti».
Il rappresentante del Parlamento europeo Guy Verhofstadt ha accolto con favore
la mossa di Theresa May di tenere colloqui con il partito laburista con un «meglio tardi che mai».
Even if, after today, we don’t know what the end result will be, let us be patient. #Brexit
– Donald Tusk(eucopresident)
In precedenza, da Bruxelles erano uscite parole meno inclini al compromesso per bocca di Michel Barnier. L’uscita di Londra dalla Ue senza accordi diplomatici è «ogni giorno più probabile». Il capo-negoziatore europeo per la Brexit aveva commentato così il caos che accompagna le trattative per il divorzio del Regno Unito dal Continente, dopo che la Camera dei comuni ha bocciato tre volte l’accordo di May e respinto, lunedì, quattro piani B formulati dagli stessi deputati. Barnier ha precisato che l’accordo siglato da Bruxelles con Theresa May resta «l’unico modo» per garantire un’uscita ordinata dal blocco comunitario, escludendo qualsiasi riapertura delle negoziazioni sui contenuti.
Le uniche alternative al via libera del parlamento britannico al patto siglato da May, ha aggiunto Barnier, sono due: una Brexit no-deal, appunto, o un posticipo ben più lungo di quello ipotizzato oggi, fino al 22 maggio. Ma nel secondo caso Londra dovrà giustificare la richiesta di proroga con un nuovo referendum nel Regno Unito, la convocazione di elezioni nazionali o un altro «processo politico». Dall’Europa stanno già arrivando i primi scetticismi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che «non bisogna dare per scontata» la concessione di una proroga della Brexit. La Ue, ha aggiunto Macron, non può «restare a lungo ostaggio» delle tensioni politiche che logorano Londra.
Riunione fiume del governo May per il quarto voto (o le elezioni)
Nel frattempo, a Londra, Theresa May ha convocato una riunione di cinque ore del suo governo per cercare di sbloccare un’impasse che si fa sempre più ostico. La premier è intenzionata a spingere per
un quarto voto della Camera dei Comuni sul suo accordo, dopo tre bocciature e diverse settimane di negoziati con le ali più
riottose della sua stessa maggioranza: la fronda oltranzista del Partito conservatore e i rappresentati del Democratic unionist
party, il partito unionista nordirlandese che si rifiuta di approvare un accordo giudicato «pericoloso» per l’unità del Paese.
May avrebbe bisogno di convincere almeno 30 parlamentari per superare la linea di maggioranza necessaria all’ok del Parlamento, dopo che il 29 marzo il suo deal è stato bocciato con uno scarto di “soli” 58 deputati. Di qui l’idea di provare a coinvolgere il partito laburista, che però finora ha sempre bocciato l’intesa.
Le alternative sul piatto, in fondo, sono le stesse indicate da Barnier: un’uscita no-deal, la richiesta di una proroga maggiore dell’articolo 50 (il meccanismo dei trattati europei che disciplina il divorzio di uno stato membro dalla Ue) o la convocazione di elezioni anticipate. In quest’ultimo caso, però, la premier avrebbe bisogno di un consenso pari ad almeno due terzi del voto della Camera dei Comuni, sempre senza una garanzia di appoggio da parte del suo stesso partito conservatore. A quanto scrive il Financial Times, alcuni conservatori più euroscettici potrebbero preferire un secondo referendum sulla Brexit a un ritorno alle urne. Ma l’ipotesi è vincolata alla richiesta di un rinvio e, soprattutto, alla risposta che potrebbe dare Bruxelles.
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