Non si sblocca lo stallo sulla Brexit: dalla Camera dei Comuni è arrivata l’ennesima bocciatura, destinata questa volta alle 4 opzioni di piano B alternative all’accordo di divorzio raggiunto dalla premier Theresa May con Bruxelles, dopo il precedente nulla di fatto della settimana scorsa. Una maggioranza non è emersa né sulle due ipotesi di Brexit più soft (con permanenza del Regno nell’unione doganale l’una; in un cosiddetto “mercato unico 2.0” l’altra), né in favore di un secondo referendum, né di una revoca dell'articolo 50 come alternativa a un no deal. E così, un'uscita del Regno Unito “senza accordo” è divenuta “quasi inevitabile”, ha detto il rappresentante del Parlamento europeo Guy Verhofstadt. Stamattina è convocato un vertice a Londra.
Il ministro della Brexit, Stephen Barclay, dopo la bocciatura ha rilanciato l'ipotesi di un quarto voto sull'accordo di Theresa May. Barclay ha ricordato che in mancanza di un accordo approvato «l’epilogo di default sarebbe l'uscita del Regno dall'Ue il
12 aprile con un no deal». Avendo però notato come la Camera si sia pronunciata a maggioranza in passato anche contro il no
deal, «ha esortato a un quarto voto sul piano May in settimana».
Il Regno Unito ha inaugurato così una nuova settimana di turbolenze sul divorzio di Londra dall’Unione europea, il processo che si trascina da quasi tre anni e avrebbe dovuto concludersi lo scorso 29 marzo. Dopo la terza bocciatura dell’accordo siglato da Theresa May con i partner europei, il primo aprile la Camera dei Comuni ha messo ai voti una serie di opzioni alternative all’intesa sponsorizzata dalla premier. La Camera, contraddicendo ancora una volta la linea di May, ha dato il via libera al voto di alcune correzioni all’accordo di Brexit siglato dalla premier.
Si tratta degli ormai celebri «voti indicativi», gli emendamenti non vincolanti che i deputati possono proporre a integrazione (o in sostituzione) del patto voluto da May. Lo scorso mercoledì, 27 marzo, la Camera aveva già avanzato un pacchetto di proposte analoghe, salvo bocciare tutti gli otto emendamenti accolti dallo speaker John Bercow. Nella giornata del 1° aprile Bercow ha ammesso quattro proposte, fra le otto arrivate sul suo tavolo: la richiesta di mantenere Londra nell’unione doganale, l’ipotesi di una Brexit in versione «norvegese» (con gli stessi accordi commerciali siglati da Londra e Oslo), la richiesta di un referendum di conferma all’intesa di May con i partner europei e la richiesta del ritiro dell’articolo 5o come ultima spiaggia per evitare un divorzio no-deal. May aspetterà l’esito di stasera, ma non ha rinunciato al tentativo di far passare il suo accordo e potrebbe organizzare un quarto voto «significativo» fra martedì 2 aprile e giovedì 4 aprile.
A che punto siamo?
Ricapitolando. Il governo britannico ha ottenuto dall’Europa un rinvio della Brexit, facendo slittare l’inizio ufficiale
della separazione dal 29 marzo al 12 aprile 2019. Secondo l’accordo, ci sono due opzioni complementari: se May riesce a far
passare il suo accordo entro il 12 aprile, Londra si avvia al divorzio il 22 maggio (data non casuale: è la vigilia delle
elezioni europee, scongiurando così il rischio della partecipazione della Gran Bretagna al voto); se May non riesce a incassare
il via libera, il governo dovrà comunicare entro quella data come intende procedere. In assenza di alternative, l’unico sbocco
realistico è il no-deal. Il 29 marzo May ha subito l’ennesima sconfitta alla Camera, vedendo bocciare il suo accordo con
uno scarto di 58 voti. Due giorni prima, il 27 marzo, il parlamento aveva provato a mettere sul tavolo un totale di otto «voti
indicativi», con ipotesi che andavano da un secondo referendum all’uscita unilaterale. Sono stati tutti bocciati.
Che cosa si è votato il 1° aprile: dall’unione doganale al nuovo referendum
Il parlamentoha cercato di sbloccare una seconda volta l’impasse, proponendo una nuova tranche di otto «voti indicativi». Come abbiamo visto, Bercow ha ammesso quattro mozioni:
- mozione C, avanzata dal conservatore Kenneth Clarke, consistente in un accordo «soft» che garantisca la permanenza della Gran Bretagna nell’unione doganale della Ue. La mozione ha ottenuto 273 voti favorevoli e 276 contrari
- la mozione D, appoggiata trasversalmente dai laburisti Stephen Kinnock e Lucy Powell e dai conservatori Nick Boles e Robert Halfon, che propone la permanenza del Regno Unito nel mercato comune europeo e una nuova adesione alla Associazione europea di libero scambio. È la cosiddetta opzione «Norway Plus», chiamata così perché riprodurrebbe il rapporto stabilito dalla Norvegia con la Ue. La mozione ha ottenuto 261 voti favorevoli e 282 contrari.Boles, subito dopo il risultato del voto, ha annunciato l’addio al gruppo parlamentare della May.
- la mozione E, sponsorizzata dai deputati Peter Kyle, Phil Wilson e Margaret Backett, che propone un referendum di conferma all’accordo di May prima di un’eventuale ratifica del parlamento. La scorsa settimana, un’ipotesi simile aveva incassato 268 voti a favore; oggi ha ottenuto 280 voti favorevoli e292 contrari
- la mozione G, puntava invece a imporre al governo di chiedere una proroga dell’articolo 50 (il processo di Brexit) per negoziare meglio i termini del divorzio. Hanno votato a favore in 191, rispetto a 292 contrari. Nel caso si arrivi a ridosso del 12 aprile senza un accordo, l’esecutivo dovrebbe optare per il ritiro dell’articolo 50
in toto.
Bercow ha tagliato fuori dal voto della Camera gli emendamenti ritenuti più deboli, dalla riscrittura dell’accordo di backstop (la polizza per garantire che non venga eretto un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord) alla richiesta di un’uscita no-deal il 12 aprile.
A proposito, e l’accordo di Theresa May?
Intanto Theresa May non desiste e pianifica di portare il suo accordo al voto per la quarta volta nell’arco di poco più di
tre mesi. La premier, secondo quanto riferiscono i media inglesi, sta conducendo trattative a ritmo serrato con le correnti
di maggioranza del suo governo che devono ancora “digerire” il suo piano di divorzio dalla Ue: gli unionisti nordirlandesi
(Democratic unionist party, rappresentati da un drappello di 10 deputati) e una robusta fronda di Tory (c’è una quota di 30-40
deputati che ha votato contro l’accordo la scorsa settimane, ma ora potrebbe tornare sui suoi passi nel timore di un divorzio
no-deal). I Tory sono sempre più divisi, e persino l’ala oltranzista dei Brexiteer inizia a frammentarsi tra chi sta cedendo al pressing
di May e chi continua a preferire un no-deal. Il governo non gode di salute migliore, almeno a giudicare dalle polemiche
sullo sfondo ai negoziati di May. L’esecutivo si sta spaccando sull’ipotesi di una Brexit «soft», cioè di un’uscita con un
accordo diverso da quello di May: lo scenario che si potrebbe aprire se May, dopo il voto di oggi, deciderà di includere l’unione
doganale nei nuovi negoziati per un accordo. Alcuni ministri hanno minacciato le dimissioni, altri stanno aprendo all’ipotesi.
Al momento, tanto per cambiare, è tutto indefinito.
Jeremy Corbyn, intanto, non si arrende alla bocciatura dei piano B alternativi all'accordo di Theresa May sulla Brexit. Parlando alla Camera
dopo il voto, il leader del Labour ha criticato l'intenzione del governo di riproporre l'accordo May dopo tre bocciature,
ricordando il pesante scarto di quelle sconfitte. E comunque, se il governo vuole tentare ancora, a suo giudizio può essere
rivotata “mercoledì” anche l’opzione Brexit soft con permanenza nell'unione doganale: la più vicina stasera alla maggioranza
con 273 voti contro 276.
© Riproduzione riservata