Spetta agli Stati definire i propri interessi di sicurezza nazionale e imporre restrizioni al commercio se servono a tutelarli in una situazione di emergenza internazionale, ma la Wto ha il potere di valutare se il pericolo è oggettivo e se gli Stati agiscono in buona fede. Un colpo alla linea dell’Amministrazione Trump e ai dazi imposti su acciaio e alluminio - e a quelli ventilati sull’auto - in quanto le loro importazioni costituirebbero una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti.
È una sentenza storica, quella pubblicata oggi (5 aprile) dalla Wto, la prima sulla delicatissima questione, resa d’attualità dalla spregiudicata politica adottata dalla Casa Bianca, che impone e minaccia dazi, sfidando le regole generali del commercio. Il verdetto è stato emesso dall’organo di primo grado del meccanismo di soluzione delle dispute della Wto e potrà essere impugnato davanti all’Appellate Body (che gli Stati Uniti boicottano, bloccando la nomina dei suoi componenti). Il caso discusso vede contrapposte Ucraina e Russia. A partire dal 2014, per difendere la propria sicurezza nazionale, Mosca ha imposto restrizioni sui beni provenienti dall’Ucraina e in transito sul territorio russo con destinazione in Kazakhstan e Kyrgyzstan. La crisi tra i due Paesi si stava infiammando: nel febbraio di quell’anno, le manifestazioni di piazza a Kiev portarono alla fuga del presidente filo-russo Viktor Yanukovich e poi al distacco della Crimea e al conflitto nel Donbass.
Sfidata sul blocco al transito delle proprie merci dall’Ucraina dinanzi alla Wto, la Russia ha affermato che l’Organizzazione mondiale del commercio non è competente su questi casi. Le «Security exceptions» del Gatt, General agreement on tarriffs and trade, che dal 1994 disciplina i rapporti tra i Paesi sottoscrittori, riconoscono il diritto di ogni Stato membro a reagire a situazioni di guerra o emergenze internazionali nel modo che ritengono necessario (articolo XXI). Secondo Mosca, tanto basta per avere carta bianca: ogni altra interpretazione delle norme sarebbe una interferenza negli affari di uno Stato sovrano, il cui giudizio soggettivo sarebbe insindacabile. La Wto dovrebbe quindi limitarsi a prendere atto del fatto che uno Stato ha invocato quelle eccezioni.
A sostegno delle tesi di Mosca si sono schierati gli Stati Uniti (nelle dispute della Wto possono partecipare Paesi terzi), con lo sguardo ai risvolti che il verdetto potrà avere sulle cause già avviate da Ue, Canada, Messico e mezza dozzina di altri Paesi contro i dazi di Trump sui prodotti siderurgici. «La Wto - ha sostenuto Washington - non ha l’autorità per mettere giudicare il ricorso all’articolo XXI da parte di uno Stato membro». Sull’altro lato del ring, si sono invece presentati (tra gli altri) Unione europea, Canada e Cina.
Secondo il professor Giorgio Sacerdoti, che tra il 2001 e il 2009 è stato membro dell’Appellate Body, la decisione presa dal panel di primo grado «è molto equilibrata. Non va nella direzione dell’Amministrazione Trump, che sostiene che la mera invocazione dell’articolo XXI del Gatt chiude la porta a ogni indagine e valutazione della Wto». Al contrario. Il verdetto, nel caso in questione, riconosce l’oggettività della minaccia alla sicurezza nazionale invocata da Mosca (che quindi non ha violato le regole della Wto quando ha imposto le restrizioni alle merci in arrivo dall’Ucraina), ma in linea generale, continua Sacerdoti, afferma «che la situazione d’emergenza deve essere oggettiva, che la Wto è competente a valutarla e che le misure restrittive devono essere in qualche modo correlate a questa situazione. Spetta invece allo Stato che adotta la misura restrittiva valutare sovranamente se sia necessaria a proteggere i suoi interessi essenziali, con il limite che la idoneità della misura a tal fine non sia implausible». Pensando ai dazi Usa contro l’import di acciaio e alluminio e a quelli ventilati contro le automobili «non si vede dove sia l’emergenza nelle relazioni internazionali», sottolinea Sacerdoti.
Se le eccezioni previste dal Gatt possono essere invocate in presenza di una «emergenza nelle relazioni internazionali», il
panel chiarisce in cosa questa consiste: «Una situazione di conflitto armato, anche latente, o di elevata tensione o di crisi
oppure di generale instabilità che investe o circonda lo Stato. Situazioni che fanno emergere un particolare tipo di interessi
per uno Stato, come la difesa militare, interessi militari, la tutela della legge e dell'ordine pubblico».
La questione rischia di rivelarsi fatale per l’intero meccanismo della Wto. Non a caso è rimasta un tabù per decenni: l’uso disinvolto delle eccezioni previste dall’articolo XXI giustificherebbe qualsiasi misura protezionistica. Mettere in discussione la facoltà degli Stati di individuare minacce alla propria sicurezza nazionale e a reagire come meglio credono rischia, al contrario, di esacerbare le polemiche contro la Wto. Quanto sia delicato il tema è testimoniato dall’estrema cautela del direttore generale della Wto, Roberto Azevedo. Cominciare a occuparsi di conflitti regionali, ha detto in una intervista in Messico, è uno sviluppo «estremamente pericoloso» per la Wto: «Le questioni di sicurezza nazionale - ha aggiunto - dovrebbero essere risolte politicamente e non tecnicamente, davanti al meccanismo di soluzione delle dispute della Wto. Questi casi stanno però arrivando e non abbiamo scelta».
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