MADRID - Pedro Sanchez ha avuto ragione. Dopo essere riuscito a guidare il governo senza passare dal voto e dopo avere convocato
le elezioni anticipate, sfidando non solo i Popolari ma anche i centristi di Ciudadanos, il leader della sinistra spagnola
ha portato il Partito socialista a conquistare il 28,7% dei consensi (contro il 22,6% del 2016) e 123 seggi in Parlamento.
Il crollo dei Popolari
I Popolari si fermano al 16,7% - un tracollo rispetto al 33% del 2016 - e nonostante gli sforzi di Pablo Casado di marcare la distanza dalla vecchia guardia di Mariano Rajoy avrebbero solo 66 seggi. Più indietro il centro-destra di Ciudadanos e la sinistra di Podemos con rispettivamente il 15,8% (57 seggi) e il 14,3 per
cento (42 seggi). Nel 2016 Ciudadanos aveva ottenuto il 13,1% e Podemos il 21,2 per cento.
Vox entra in Parlamento
Ottimo risultato invece per la destra estrema di Vox che ha ottenuto il 10,2% dei voti validi nel Paese e 24 deputati alla Camera bassa, l'unica determinante per la formazione del governo nel sistema spagnolo.
Baschi e catalani ancora decisivi
Dalle elezioni più confuse e incerte della storia spagnola, le terze in tre anni e mezzo, è uscito come previsto un Parlamento molto frammentato e apparentemente incapace di esprimere
un blocco di governo.
La coalizione più forte è quella di sinistra formata dai Socialisti e da Podemos che riuscirebbe a conquistare 165 seggi nel Parlamento spagnolo che ne conta in tutto 350. Avrebbe di nuovo bisogno del sostegno
dei partiti nazionalisti regionali per raggiungere i 176 deputati necessari per la maggioranza. Dovrebbe quindi trovare un
accordo non solo con i baschi (accreditati di 6 seggi) ma anche con gli indipendentisti della Catalogna (13-14 seggi). La
coalizione di destra tra Popolari, Ciudadanos e Vox arriverebbe invece a 146 seggi senza altre possibilità di accordi.
Non ci sono stati exit-poll tradizionali in queste elezioni spagnole ma alla chiusura dei seggi è stato diffuso dalla televisione
pubblica Rtve il sondaggio elettorale preparato dalla società Gad3 e realizzato attraverso 12mila interviste telefoniche,
in gran parte fatte nell'ultima settimana in tutto il Paese.
Affluenza molto alta
La partecipazione è stata altissima e già alle 18.00 aveva votato il 60,76% degli spagnoli iscritti nelle liste elettorali,
9,5 punti percentuali in più rispetto alle ultime elezioni del 2016. In Catalogna, sempre alle 18.00 l'affluenza alle urne
era stata addirittura del 64,20%, quasi 18 punti in più rispetto a a tre anni fa. Ma sembra essere stata quella di Madrid
la regione in cui la mobilitazione è stata più alta con una partecipazione, nell'ultima rilevazione serale, del 65,1 per cento.
L'interpretazione dell'affluenza così alta è incerta. Per tradizione il dato corrisponde a una maggiore mobilitazione della
sinistra, ma il bipartitismo Popolari-Socialisti che ha governato a Madrid per oltre quarant'anni non esiste più e in questa
tornata elettorale sono ben cinque i partiti che dovrebbero superare il 10% dei consensi, lo scenario è quindi totalmente
diverso rispetto a soli pochi anni fa.
Gli appelli dei leader
Durante la giornata i leader dei partiti avevano chiesto ai 36,8 milioni di elettori spagnoli di andare a votare per dare
al Paese un governo. Il socialista Pedro Sanchez aveva auspicato «una maggioranza parlamentare sufficientemente ampia per
un governo stabile». Pablo Casado, alla guida dei Popolari, aveva sottolineato la necessità di ottenere «governo stabile per
evitare una successione di elezioni». Pablo Iglesias di Podemos aveva esortato «a essere rispettosi di ciò che le persone
decidono». Albert Rivera di Ciudadanos si era detto fiducioso di «un cambiamento in corso, di governo e di era politica».
Santiago Abascal, leader della destra estrema di Vox, aveva definito «storiche queste elezioni» che per la prima volta dalla
fine della dittatura vedranno un partito neo-franchista e xenofobo entrare in Parlamento.
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