«La fine dell’usurpazione» e «La sconfitta della destra». Lo scontro frontale, in Venezuela, non dà tregua. Sono questi i due stilemi, speculari e autocelebrativi, che avversari e seguaci di Nicolas Maduro rilanciano tre giorni dopo «l’offensiva finale», che “finale” non è stata, del presidente autoproclamato Juan Guaidò.
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Mentre Stati Uniti e Russia alzano i toni in quella che si conferma una guerra per procura nel “patio trasero”, giardino di casa americano, disse Henry Kissinger, il Venezuela è stato teatro di due imponenti mobilitazioni, a favore e contro il governo in carica a Palacio Miraflores in cui Guaidó ha chiesto ai suoi militanti di accompagnarlo per ottenere, appunto, «la fine della usurpazione» del potere da parte del presidente Maduro, mentre quest’ultimo ha celebrato «la sconfitta della destra golpista» che «voleva portare il Paese alla guerra civile».
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Proseguono gli scontri a Caracas, e in alcune località venezuelane: il bilancio è di due morti e decine di feriti.
Al di là delle violente contrapposizioni verbali e degli scontri di piazza sono due le mosse che il presidente venezuelano
Maduro, in risposta all’azione forte di Guaidò, ha presentato al Paese e alla comunità internazionale: la prima è l’annuncio
di una «una grande giornata di dialogo, azione e proposta» per elaborare «un Piano di cambiamento e correzione della Rivoluzione».
Maduro ha precisato, via Twitter, che all’iniziativa, in programma sabato e domenica, parteciperanno «il Congresso bolivariano
dei popoli, il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) e tutti i livelli del governo».
La seconda è un’offensiva a livello politico-militare: il ministro della Difesa e capo della Forza armata nazionale boliviariana
(Fanb), generale Vladimir Padrino Lopez, ha rivolto un severo avvertimento via Twitter al leader dell’opposizione autoconvocatosi
presidente ad interim, Juan Guaidò, chiedendogli duramente attraverso l’occhio di una telecamera: «Fino dove arriverà la tua
impunità?».
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Dopo aver visitato nell’unità di terapia intensiva il colonnello Jerson Alvarez, della Guardia nazionale, «ferito con un’arma
da fuoco», si è incamminato verso una telecamera e ha dichiarato: «Questo è il risultato delle manifestazioni pacifiche che
tu stai convocando nelle strade con la tua farsa».
«Sarebbe questa - ha aggiunto prima di andarsene - la Forza armata che pretendi comandare? Quella dei sepolcri, degli ospedali,
del sangue, dei cimiteri? Fino a dove arriverà la tua impunità?».
«Chi si stanca perde» è il titolo di un libro, edito Marsilio, scritto tre anni fa da Leopoldo Lopez, ex leader dell’opposizione
a Maduro, e oggi rifugiato nell’ambasciata spagnola a Caracas. È la sintesi perfetta di questo stallo violento, che purtroppo
non è ossimoro.
Uno scontro frontale quindi, con una proiezione internazionale di grande rilievo, gli appoggi contrapposti di Stati Uniti
(con l’opposizione venezuelana) e di Russia e Cina (con il governo di Maduro). Una guerra per procura tra superpotenze. Le
accuse reciproche tra il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, rievocano
i tempi della tensione alle stelle tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nel 1962. La crisi dei missili, mascherata da un (non)
oscuro oggetto del desiderio: Cuba.
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