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Servizio |TENSIONI COMMERCIALI

Usa-Cina, dalle ciliegie all’hi-tech: i settori più colpiti dalla guerra commerciale

NEW YORK - «Siamo preoccupati. Siamo nel mezzo di una crisi del settore agricolo che dura da sei anni. Chiediamo che i negoziatori negozino, invece di pensare a ritorsioni. In particolare i coltivatori di soia hanno bisogno di mercati aperti». A parlare è Will Rodger, dirigente dell'American Farm Bureau Federation, associazione che raccoglie e rappresenta agricoltori e allevatori. Rodger interviene a caldo, mentre scattano nuovi dazi tra Stati Uniti e Cina, Donald Trump ne minaccia altri ancora e continuano trattative tra le parti. E viene per ora così congelata anche una precedente promessa cinese di nuovi import agroalimentari made in Usa per 30 miliardi l’anno.

L'agricoltura americana è un punto di osservazione privilegiato dei nuovi traumi all'interscambio, in prima linea di questa nuova “guerra fredda” economica per i danni subiti che, settore per settore, rischiano di essere più pericolosi delle frazioni di punto percentuale (circa 0,4% a oggi) che vengono perse a livello di Pil complessivo. Sono questi danni che, al di là della retorica e dei bracci di ferro, potrebbero alla fine consigliare anche alla Casa Bianca di arrivare a compromessi. L’agricoltura non è isolata: non solo per il suo rilievo economico, ma perché è collegata a una filiera che comprende anche il manifatturiero, le macchine agricole. E perché oggi fa da battistrada nel dramma sul trade: la Casa Bianca minaccia di dar seguito al rialzo odierno di dazi su migliaia di prodotti già colpiti con un’estensione a tappeto al totale dell’import cinese, in tutto quasi 600 miliardi. Un ampliamento che interesserà anche tutti i prodotti di largo consumo e non solo intermedi, dai giocattoli agli iPhone e tutta l’elettronica, dalle calzature ai tessile. E che vedrà scattare ripetute, probabili risposte cinesi sull’export.

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L’impatto sul business
La spirale dei dazi, ha avvertito Moddy’s, «creerà ulteriore pressione su una serie di settori», citando dettaglianti e grossisti, costruzioni, trasporti, telecomunicazioni, macchinari e manifattura, computer ed elettronica. Queste ripercussioni hanno cominciato a filtrare in modo sempre più diretto e trasparente. Durante le ultime trimestrali, almeno 30 tra le più grandi aziende americane dei settori più diversi hanno citato tra i rischi gli aumenti dei dazi, 18 indicando di aver cercato di tenerne conto nei loro outlook e nelle loro scelte - da Walmart nel retail a Stanley Black & Decker nelle attrezzature industriali, da Polaris nelle motociclette a Anderson nell’agroalimentare - e una dozzina ammonendo sull’incertezza dell’impatto. I provvedimenti presi vanno da svolte nelle forniture a aumenti dei prezzi.

Una tassa in più per gli americani
Una coalizione di retail, tech, manifatturiero e agricoltura - Tariffs Hurt the Heartland - ha protestato per la “tassa” pagata dagli americani per la guerra commerciale, non dalla Cina: 1.155 dollari al secondo, solo dai dazi Usa che hanno totalizzato a oggi tra i 15 e i 25 milioni. La Fed di New York e le Università di Princeton e Columbia hanno stimato che aziende e consumatori pagano 3 miliardi al mese in più per i dazi, con le imprese che scontano anche 1,4 miliardi in costi di minore efficienza (oltre 20 miliardi a fine anno scorso). La conclusione: «Le entrate da tariffe non compensano comunque le perdite sostenute dai consumatori di import». Si calcola che anche almeno 165 miliari di scambi globali subirà modifiche scatenando terremoti nelle catene di fornitori.

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Crollo degli investimenti cinesi negli Usa
L’Fmi ha stimato che l’import di elettronica dalla Cina si dimezzerebbe all’11,5 per cento. Il think tank IIF ha intanto stimato in 40 miliardi l’anno la perdita di export verso la Cina, una sforbiciata di un terzo. L’impatto di dazi, contro Cina e non solo, esaminato per alcuni segmenti colpiti dalle prime ondate, come lavatrici, acciaio e alluminio, hanno visto i prezzi delle prima salire del 12% e dei metalli del 9 per cento. Uno studio di Banca Mondiale e Ucla ha rilevato anche il paradosso che, una volta contate anche le ritorsioni internazionali, le maggiori vittime sono stati agricoltori e lavoratori in regioni rurali che hanno finora sostenuto Trump. La guerra fredda economica sta già creando un “decoupling” tra Usa e Cina, oltre che commerciale, negli investimenti: quelli di Pechino negli Usa sono scesi a 5 miliardi nel 2018, il minimo da sette anni, dai 29 miliardi dell'anno prima.

Agricoltori i più colpiti
L’agricoltura non ha finito di contare le sue vittime dei dazi. Anche senza ulteriori giri di vite, gli economisti governativi anticipavano una perdita di quasi due miliardi di dollari nell’export durante il 2019. I profitti del settore sono da anni sotto pressione, ormai dimezzati dal 2013 a causa di cali nelle commodities fino al 40% (mais e soia). I produttori di ciliegie di Washington, Oregon e Idaho hanno ad esempio perso 96 milioni l’anno scorso per i dazi, con la Cina, principale mercato, che ha tagliato il loro export del 41 per cento.

L’anno scorso l’export agricolo verso Pechino è sceso di un terzo a 16 miliardi e il governo ha ormai previsto che quest’anno calerà ancora a nove miliardi o meno. Per oltre la metà si tratta di semi di soia (Pechino assorbe metà della produzione Usa di soia mentre grazie agli Stati Uniti la Cina ha finora coperto oltre un terzo del suo fabbisogno). Contributi significativi (almeno il 10% dell’export totale) arrivano anche da cotone, sorgo, prodotti caseari, maiale, pellami, crostacei. Non è chiaro, temono gli operatori, se sarà facile riconquistare posizioni perse anche una volta tolte le sanzioni.

“La disputa con la Cina crea grande incertezza e preoccupazione per i prezzi agricoli”

Michael Langemeier, economista della Perdue University 

Anche per questo l’indice della fiducia del settore, l’Ag Economy Barometer del Purdue/Cme Group, ha mostrato nuovi cali, tornando quest’anno a livelli toccati lo scorso ottobre e novembre quando era sotto pressione per cattivi raccolti. Oltre un quarto degli agricoltori sta aumentando l’indebitamento e si moltiplicano i sintomi di stress finanziario, con i prestiti in sofferenza ai massimi da nove anni anche se il rapporto debito/asset del 14% resta lontano al 23% della grande recessione agricola degli anni Ottanta. L’associazione di settore American Farm Bureau ha rivelato che numerosi agricoltori oggi contano su entrare extra-agricole per far quadrare i conti in un clima di declino pluriennale del reddito. I profitti delle piccole e grandi aziende agricole dovrebbero rimanere sotto i 70 miliardi di dollari quest’anno. Ancora nel 2013, un boom durato sette anni delle commodities agricole era invece culminato alla cifra record di oltre 123 miliardi.

Iowa e Wisconsin soffrono
«La disputa con la Cina crea grande incertezza e preoccupazione per i prezzi agricoli», ha commentato Michael Langemeier, economista della Perdue University. La tensione grava su numerosi stati nel cuore del Paese, dall’Iowa al Wisconsin, che ancora hanno una forte economia agricola - e dove spesso finora Trump ha appunto vantato sostegno. L’Iowa è un colossale produttore di soia, per un terzo spedita in Cina; e anche di carne, patria di un terzo dei maiali americani. In Wisconsin il tasso dei fallimenti nelle imprese del comparto è al massimo da un decennio. Nel caso dei semi di soia, il conto alla rovescia per risolvere senza eccessivi traumi il conflitto scade in estate, prima del prossimo raccolto tra settembre e dicembre. La Cina tradizionalmente importa la soia americana in quei mesi. Chissà se entro allora sara stato seminato qualche compromesso.

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